Gary Shteyngart torna con una commedia brillante in quattro atti: "La casa sulla collina", un romanzo che racconta la vita in campagna di otto personaggi singolari, che hanno deciso di fuggire dal virus e di trascorrere insieme un imprevedibile lockdown. Non ci vorrà molto perché affiorino emozioni e sentimenti scomodi, in dialoghi che riflettono il gusto dell'autore per la satira sociale...
Se con la pandemia abbiamo provato tutti il desiderio di rifugiarci in qualche luogo lontano dalla folla e senza virus, i protagonisti del nuovo romanzo di Gary Shteyngart, La casa sulla collina (Guanda, 2022, con la traduzione di Katia Bagnoli), hanno modo di scegliere l’isolamento. Alexander (detto Sasha) Senderovsky e la moglie Masha Levin-Senderovsky, ebrei sovietici immigrati in America, hanno acquistato una proprietà in campagna.
Lì hanno eretto dei bungalow attorno all’abitazione principale e vi ospitano scrittori e artisti che hanno bisogno di un periodo di pace o della giusta atmosfera per scrivere.
Con loro c’è la figlia adottiva, Natasha, una bambina di otto anni, grande fan di una band coreana, che segue assiduamente sui social e che imita in tutto e per tutto.
In quel luogo in cui “non ci sono gerarchie. È tutto un po’ comunitario” (p. 72), per fuggire al virus, arrivano gli altri cinque protagonisti, che impariamo a conoscere nel primo centinaio di pagine. Troviamo Karen Cho, ex compagna di liceo di Sasha, ora miliardaria grazie all’invenzione di una app di incontri discutibile, ma di enorme successo. Ciononostante, lei arriva da sola, disillusa sui rapporti sentimentali, al punto da credere che l’algoritmo della sua app possa rivelare attrazioni e prevedere possibili innamoramenti.
Oltre a lei, accorre Vinod Metha, ex professore e cuoco di una tavola calda, ma soprattutto ex compagno di liceo di Sasha e di Karen, abituato a ruotare attorno ora all’amico, ora alla donna di cui è sempre stato innamorato. Dopo il cancro al polmone, il suo sistema immunitario è compromesso. Dunque l’isolamento a casa dei Senderovsky può essergli di grande aiuto per sfuggire al virus.
Conoscenza più recente è Dee Cameron, bellissima ex studentessa di Sasha ai suoi corsi di scrittura, in grado di far girare la testa sia a Ed Kim, viaggiatore indefesso, sia all’Attore, chiamato sempre così, senza mai rivelare il suo vero nome. Di lui conosciamo la bellezza, la propensione a recitare in qualsiasi momento e la costante pressione mediatica sulla sua vita privata.
Inizia così una commedia brillante in quattro atti, con otto protagonisti, a cui si aggiungono poche volte abitanti del villaggio, ridotti però a comparse. A innescare i dialoghi, è spesso un brindisi attorno a una tavola apparecchiata:
“L’alcol è il dono di ogni narrazione, e non c’è scrittore che non si emozioni al plop del tappo di sughero. Ora i personaggi scopriranno le carte.” (p. 88)
Se nel Decameron i protagonisti, ritiratisi dal mondo per sfuggire alla peste, si sono fatti narratori di novelle, nel romanzo di Shteyngart i personaggi sono soprattutto narratori di sé stessi, del proprio passato e di quel presente segnato da distanziamenti coatti, regole di convivenza e circospette indagini sugli altri.
Preconcetti verso chi si conosce da poco o non si conosce ancora (“Oltre all’Attore, che secondo lei si sarebbe rivelato un fesso, non sapeva chi ci sarebbe stato né cosa aspettarsi”, p. 59), si avvicendano ai pregiudizi di chi si conosce da tanto (“All’Attore piaceva fare battute a spese altrui. Senderovsky lo considerava un difetto”, p. 79). Trascorrere del tempo insieme, d’altra parte, non migliora necessariamente i rapporti, ma fa affiorare sentimenti ed emozioni potenzialmente esplosivi, che vanno dal rancore all’attrazione, dal disprezzo all’ammirazione sperticata.
In ogni caso, non ci vuole molto perché i dialoghi si riempiano di tensione, ora parlando con superficialità di questioni razziali (“Credo di essere l’unico vero viso pallido qui dentro”, riflette Dee a p. 79), ora rivelando segreti che avrebbero dovuto restare tali (“Sasha ci ha sempre detto che avere un figlio è costoso, ma rappresenta un’ottima fonte di materiale”, p. 166), alcuni dei quali rischiano di mettere a dura prova rapporti di vecchia data: “Ti ho rotto una bottiglia, tu mi hai distrutto la vita”, pronuncerà uno dei personaggi, che non possiamo svelare per non fare spoiler (p. 237).
Persino guardare un reality giapponese in tv può dare sfogo a riflessioni che riguardano i presenti o, viceversa, può essere la premessa di un corteggiamento: niente è neutrale nei rapporti interpersonali, sembra suggerirci Shteyngart.
Alla tensione dettata spesso dal nervosismo della convivenza e dalla noia, si alternano pulsioni erotiche e desideri proibiti, difficili da tenere nascosti tanto ai diretti interessati quanto agli altri ospiti. “Oddio com’era bello quest’uomo a soli due bungalow dal suo” (p. 174) è una delle tante frasi che, appena pensate, troveranno risposta in un’azione concreta subito dopo. Assistere alle passioni improvvise e agli amori che si palesano nella campagna di Senderovsky pare inevitabile, e l’autore è divertente e spietato nel raccontare i punti deboli e le perversioni dei suoi protagonisti. C’è chi si chiuderà più volte in “un silenzio pensieroso” (p. 238), e chi preferisce anestetizzare le preoccupazioni, perché “nel suo lavoro pensare troppo è un anatema” (p. 313). Di tutti, Shteyngart ci fa sentire i pensieri, lasciandoci percepire il groviglio di emozioni provate (molte delle quali sono effetto di grande individualismo e di egoismo).
Accanto a queste dinamiche interpersonali, si palesano le preoccupazioni economiche di Senderovsky, che ormai come scrittore e sceneggiatore comico è in grandi difficoltà e spera che la nuova sceneggiatura con l’Attore possa aiutarlo a ritrovare “la possibilità di essere di nuovo qualcuno” (p. 303) e, non ultimo, a conservare intatta la sua proprietà in campagna.
La prospettiva di tornare al piccolo appartamento cittadino, infatti, si fa sempre più angosciante, perché Sasha “era fuggito da tutta la terra che non era di sua proprietà. Aveva fatto di se stesso un protettorato. […] Era stato un rifugiato in questo paese, e ora la campagna gli offriva un ulteriore rifugio” (p. 235). Sasha è disposto a tutto per ritrovare la tranquillità, anche a chiudere gli occhi davanti a ciò che fa sua moglie Masha o a richieste che arrivano dalla casa di produzione di una serie tv.
La casa sulla collina, che non si può definire un romanzo in cui è centrale l’azione, con le sue quasi quattrocento pagine racconta con un tocco di satira e di giocosità il potere manipolatorio della parola, le tante combinazioni di relazioni offerte dall’incontro e dalla convivenza coatta tra persone diverse.
L’ambientazione agreste, con i problemi inevitabili di chi vive lontano da tutto, si fa semmai ennesima occasione per mettere alla prova i protagonisti, ma anche per riprenderli nudi con le loro solitudini, le loro fragilità e il loro bisogno di comprensione, se non, addirittura, d’amore.
Fonte: www.illibraio.it