L'autrice americana Nicole Krauss torna in libreria con un vero e proprio compendio di cosa significhi essere un uomo secondo una donna con cui si è fatto l’amore, si è annullato un matrimonio o si è cresciuti fianco a fianco. Le dieci storie che ha scritto, raccolte non a caso sotto il titolo "Essere un uomo" e ambientate in diverse parti del mondo, diventano così l'occasione per riflettere sulla natura tossica di certe relazioni e per reimparare a interagire con l'Altro, sia a livello individuale sia a livello collettivo
“A volte, durante i miei vagabondaggi, capitava che un uomo si mettesse a fissarmi con insistenza o tentasse un approccio in francese. Quei brevi incontri m’imbarazzavano e mi lasciavano in preda a un senso di vergogna”.
A parlare è un personaggio della scrittrice americana Nicole Krauss (in copertina, nella foto di Goni Riskin, ndr), nata da due genitori figli di immigrati ebrei e sposata fino al 2014 con Jonathan Safran Foer (che ha pubblicato, fra gli altri, bestseller come Molto forte, incredibilmente vicino e Ogni cosa è illuminata), e ora tornata in libreria con Essere un uomo, raccolta di racconti uscita in Italia per Guanda nella traduzione di Maria Federica Oddera.
La sua esperienza ricorda da vicino quella vissuta da tante altre donne (perché di loro, anche senza dirlo apertamente, è chiaro che si sta parlando): donne che prendono taxi, seppelliscono parenti, salgono su cavalli a dondolo, indossano kimono e che, a ogni passo, in ogni luogo, a tutte le età, hanno a che fare con presenze maschili egemoniche, sovrastanti, spesso tossiche.
È attraverso la loro prospettiva, quindi, che l’opera costruisce un vero e proprio compendio di cosa significhi essere un uomo secondo una donna con cui si è fatto l’amore, si è annullato un matrimonio, ci si è avvicinati a un lampione o si è cresciuti fianco a fianco.
“Scusi se la disturbo, gli aveva detto, ma al portone c’è un tizio che sostiene di essere dei servizi speciali. Nel caso dovessi far entrare un delinquente o un poco di buono, le spiacerebbe lasciare la porta aperta e rimanere in ascolto?”, si ritrova addirittura a chiedere un’anziana a un vicino, prima di aprire a uno sconosciuto.
Così, nelle situazioni più banali o più inquietanti, tra le pieghe di una quotidianità in cui qualcosa di eclatante si verifica sempre, Krauss delinea gli atteggiamenti a tinte fosche che incorniciano tuttora le esperienze del maschile con il femminile, ambientandole ora in Svizzera e ora in Sudamerica, ora in Giappone e ora a New York.
In ognuno dei casi da lei inventati – o forse pescati ad arte dalla realtà, con qualche leggera variazione su un tema arcinoto –, la costante del punto di vista si unisce a un senso di tensione perenne, quasi fossimo davanti a un thriller psicologico ambientato in una stanza chiusa a chiave.
Non che gli uomini siano meri “tipi umani” a cui si appiccica l’etichetta del macho di turno, però. Al contrario, la sensibilità e la lingua duttile di Krauss permettono a Essere un uomo di spiccare per la sua credibilità, nel momento in cui ogni personaggio si distingue per le sue lotte interiori, per le sue vulnerabilità, per la personalità problematica dalla quale è spinto all’azione.
“Era un uomo difficile e autoritario, non lo si poteva negare. Aveva subìto ferite tali che, proprio quando sarebbe stato più necessario, non riusciva a vedere la rabbia e la sofferenza altrui al di là delle proprie”, si dice per esempio di un certo Leonard. Un “fiore del male” lasciato incolto, o fatto crescere in maniera malsana.
Non c’è da stupirsi, dunque, se in passato “Monica era rimasta affascinata dal fatto che Leonard si rammendasse i calzini da sé”, mentre poi con il tempo “aveva perduto la capacità di scorgere la luce che filtrava da quella piccola crepa nell’ostinata monotonia del suo carattere”.
Nelle sfilacciature dei rapporti fra i due sessi, di conseguenza, si intuisce che dietro il “regno delle parole” se ne sta acquattato uno ben più complesso, fatto di gesti e di convenzioni, di malintesi e di paure, all’interno del quale le dinamiche di potere sono spesso rigide e disequilibrate, poco adatte ad accogliere contemporaneamente la sfida di essere un uomo e quella di essere una donna senza soffocamenti reciproci.
Nelle dieci storie della raccolta, questo dramma diventa allora un caleidoscopio che riflette violenze e negazioni, soprusi e delusioni, ma anche riscatti, possibilità e desideri più forti della morte, grazie a cui una kafkiana urgenza di sopravvivere costringe i protagonisti (e noi che leggiamo) a stare al mondo in modo nuovo, reimparando le interazioni con l’Altro sia a livello individuale sia collettivo.
“Per quanto si sentisse vicina al padre e alla madre, quelle due parole evocavano un senso d’intimità” ma anche “un’ombra di ridicolo”, scrive infatti Krauss. Nuovi sono i padri dei quali avremmo bisogno, nuove le madri. Perché solo così sarà possibile fare finalmente nostra “la disciplina dell’affrontare le proprie paure”.
Fonte: www.illibraio.it