"La figura di Maria non mi ha accompagnata da bambina. L’ho scoperta da grande... In lei c’è questo folle impensabile punto di unità fra Dio e uomo": su ilLibraio.it Mariapia Veladiano racconta il suo nuovo romanzo
C’è del divino nell’atto di diventare madri. Ma c’è soprattutto dell’umano nel donare la vita. Maria di Nazareth è prima di tutto una donna, la madre di un figlio arrivato per grazia.
Lei è la storia umanissima di Maria, Madre di Dio bambino, raccontata dalla sua stessa voce. Intorno a questa figura ci sono Giuseppe, un padre che ha detto sì senza comprendere, e gli amici del figlio, Giovanni, Simone, Giuda, Nicodemo, che le fanno domande alle quali non sa rispondere. Maria racconterà la storia di suo figlio – e prima di tutto di se stessa –, una storia di amore e dolore, protetta dagli angeli che non sanno tener lontano il gran male del mondo. E racconta ciò che resta di una madre giovane che ha perso suo figlio, un dolore che solo una madre potrebbe raccontare.
Con Lei (Guanda), Mariapia Veladiano dà voce a un personaggio unico, Maria di Nazareth, restituendola alla sua piena essenza umana. L’autrice vicentina, vincitrice del Premio Calvino con La vita accanto (Einaudi Stile Libero) e finalista al Premio Strega 2011, ha pubblicato diversi libri: Il tempo è un dio breve (2012), Ma come tu resisti, vita (2013), editi Einaudi; Messaggi da lontano (Rizzoli, 2013), Parole di scuola (Erickson, 2014), Venire al mondo, (Il margine, 2015). Per Guanda ha pubblicato Una storia quasi perfetta (2016).
In esclusiva per ilLibraio.it, l’autrice presenta così il suo nuovo libro:
di Mariapia Veladiano
La figura di Maria non mi ha accompagnata da bambina. L’ho scoperta da grande, quando studiavo teologia e leggevo la tranquillità con cui la teologia enfatizzava il sì di Maria. Lei dice eccomi, parola bellissima. Ma chiunque abbia vissuto l’attesa del matrimonio, sia stato “promesso”, qualsiasi cosa voglia dire questa parola (innamoramento? patto come forse voleva dire all’epoca di Maria?) sa che ogni momento della giornata e della notte è occupata da questo pensiero nuovo, da un futuro appena immaginato ma comunque sognato. Un rivoluzione nella propria vita, che si impone come desiderio, paura, sorpresa, speranza. Ma si impone. Vuol dire che lei aveva ben presente Giuseppe quando si trovò davanti all’Angelo.
Quella parola, eccomi, sarebbe tremenda, devastante, egoismo purissimo se non comprendesse in qualche modo Giuseppe, perché non c’è gerarchia fra le promesse e un Dio che si manifestasse nell’atto di annientare una promessa fra una donna e un uomo sarebbe un Dio impossibile da amare. Soprattutto un Dio che non ama.
Ma non è questa la storia che le Scritture ci raccontano.
E così ho cominciato a mettere testa e affetto su questo punto dell’Annunciazione. Tutto accade con l’eccomi di Maria, ma se non è libero, se fosse una commedia da raccontare agli uomini a scopo edificante, non avrebbe valore alcuno, noi saremmo burattini. Se invece è vero, è atto libero di una ragazzina che accoglie quello che non sa nemmeno immaginare ma che rappresenta il terremoto, la bufera e la tormenta nella sua vita, allora con lei ci deve essere Giuseppe, suo promesso, a dire quell’eccomi.
Da qui è partito un lungo tranquillo accompagnamento della figura di Maria nella mia vita. Mi sono chiesta cosa pensasse, quali fossero le sue azioni durante i 30 anni di convivenza con Gesù. I pensieri, che cosa avrà sentito quando lui è nato, avere Dio fra le braccia e scoprire a poco a poco che niente era diverso dalla vita delle altre mamme e degli altri bambini. Si è interrogata, ha ascoltato, ha lottato, ha sperato di trattenerlo. Chi vuole un figlio così speciale che si espone a tutti i venti del giudizio, del pregiudizio, dell’invidia, della violenza?
Maria ha riempito la storia di sé. Attraverso la pittura, la scultura, le edicole agli incroci delle strade, i canti, le preghiere, la letteratura, le mille forme di devozione popolare. Questa ragazzina di cui le Scritture raccontano il naturale, umano sgomento (Come è possibile?) accoglie quel che le arriva, incomprensibile, e lo fa proprio. C’è pochissimo di lei nelle Scritture. Non si racconta la sua vita bambina, nulla prima dell’incontro con l’Angelo eppure è lei che ha reso possibile tutto.
In lei c’è questo folle impensabile punto di unità fra Dio e uomo. E questo punto è un bambino, che come tutti i bambini, senza cure muore, è esposto alla furia del mondo, per lunghissimo tempo è dipendente, non autosufficiente.
Una delusione per chi si aspettava un Dio che salva con mano potente e annienta i nemici.
Ecco, nella storia di questa ragazzina che impara a diventare madre, conosce suo figlio un poco alla volta, ne accoglie la dimensione di incomprensibilità, lo segue, si sgomenta per lui, ha paura, lo lascia andare e lo accompagna a una morte incomprensibile, qui in questa donna si realizza quella che la tradizione religiosa e la fede chiamano salvezza.
Ma cos’è questa salvezza? Chi la compie davvero?
Maria come ogni madre vorrebbe salvare suo figlio dal male del mondo e invece tutto il male del mondo (il tradimento, la malafede, la violenza) si concentrerà in quel pezzetto di terra porterà suo figlio a morire nel modo più violento, del tutto simile a tanti figli morti senza colpa e in modo violento.
I presentimenti di lei sono quelli di tutte le madri, non le viene risparmiato niente. La consapevolezza che l’accompagna è quella di un Angelo talmente lontano da avere a volte la consistenza di un sogno. Ma questo Angelo l’ha abbracciata e il suo abbraccio torna come carezza ricordata, persa e poi a sorpresa ritrovata.
Chi è lei? Spera, si dispera, interroga Giovanni Battista, Giuda, Nicodemo. Segue Gesù da lontano e poi torna da Giuseppe.
Di Giuseppe la tradizione parla pochissimo. Sta accanto a Maria, un Angelo lo avverte del pericolo per il piccolo Gesù, poi scompare dalle Scritture, non c’è quando Gesù muore e risorge. E qui c’è una voragine.
Il racconto di Maria è un frammento dell’immenso che lei ha vissuto. Somiglia a quello che tutte le madri vivono. L’esemplarità che la tradizione ha così tanto enfatizzato è l’essere lei come tutte le madri, travolta e felice per questo figlio donato, spaventata di non comprenderlo, capace infine di lasciarlo andare rimanendo accanto, sempre accanto anche quando non capisce.
È un romanzo. Un piccolo raccontare. Non un trattato. Non ci sono verità da affermare. Tesi da sostenere o da confutare. Un piccolo atto d’amore e di libertà.
Fonte: www.illibraio.it