Ambientato nel manicomio femminile di Ciempozuelos, presso Madrid, a metà degli anni '50, "La figlia ideale" è il nuovo romanzo di Almudena Grandes, una storia d'amore, di compassione, solidarietà e speranza che prende vita sotto il pesante giogo della dittatura franchista: basato sulla storia vera di Aurora Rodrìguez Carbaillera, paziente paranoica tristemente famosa per l'omicidio della figlia, il libro esplora le delicate sfumature della malattia mentale, dei pregiudizi contro cui si scontra la psichiatria e gli effetti che un regime dittatoriale può avere sui suoi cittadini, effetti non così diversi dal disturbo psichiatrico vero e proprio, al punto da trasformare la quotidianità in una gabbia ancora più opprimente del manicomio...
“La figlia ideale è un romanzo inventato costruito su fatti reali”, scrive Almudena Grandes nella Nota dell’autrice che conclude il suo nuovo libro, tradotto in Italia da Roberta Bovaia per Guanda; si tratta della tragica storia vera di Aurora Rodrìguez Carbaillera, che nel 1933 aveva ucciso la figlia Hildegart, appena diciottenne, originando parecchio scalpore in Spagna, soprattutto quando la perizia psichiatrica la diagnosticò come paranoica, ragion per cui passò il resto della sua vita rinchiusa in un manicomio, come una “pazza assassina”.
Ma la storia di donna Aurora è solo una delle vite narrate da Almudena Grandes nel romanzo, esistenze che si dipanano tra la Germania nazista, la Svizzera libera e la Spagna del regime, inseguendosi tra le pagine in attesa di entrare in rotta di collisione, così che ciascuna possa dare significato all’altra e cambiarne irrevocabilmente il corso: la storia, ambientata nel manicomio femminile di Ciempozuelos, presso Madrid, tra il 1954 e il 1956, viene narrata in prima persona da tre narratori che si alternano nel corso delle pagine, in una continua oscillazione di voci, punti di vista e modalità narrative, appartenenti ora al dottor Velazquez, lo psichiatra, ora a Maria, l’infermiera ausiliaria, e ora a donna Aurora, la paziente.
Tornato in Spagna dopo un lungo esilio in Svizzera iniziato alla fine della guerra civile, il dottor Velazquez non ha mai vissuto sotto il regime di Francisco Franco e, nel tornare al proprio paese, lo trova ben diverso da come lo aveva lasciato: il sole accecante e l’arsura estiva di cui aveva tanto sentito nostalgia non bastano a compensare la morsa soffocante della dittatura e il peso opprimente di un cattolicesimo rigido, imposto; le conversazioni ad alta voce sono vacue e limitate ai commenti sul cima, mentre ogni dialogo di significato avviene sottovoce, sussurrato, a porte chiuse.
Le mura del manicomio non fanno eccezione. La struttura è rigorosamente amministrata dalle suore e da un uomo di fiducia del regime, una combinazione che riesce a vanificare tutta la buona volontà degli psichiatri: La figlia ideale racconta anche e soprattutto questo, dalla speranza riposta in un farmaco all’epoca rivoluzionario, la clorpromazina, per curare la schizofrenia, agli effetti paralizzanti della dittatura sulla vita privata e professionale delle persone, fino ai piccoli grandi passi fatti dalla psichiatria nella seconda metà del secolo scorso, ostacolati da un’ignoranza e da un bigottismo così profondi da far accapponare la pelle.
Fuori dalle porte del manicomio, l’aria è ancora più insalubre: Grandes ritrae gli spagnoli a capo chino, vessati da quindici anni di regime che li ha derubati dell’orgoglio e della forza d’animo, trasformando il paese in un enorme manicomio di oppressi e arresi; in questo scenario, una sfolgorante galleria di personaggi costella l’oscurità: il dottor Velazquez, il suo portamento eretto, a testa alta, i pomeriggi sotto il portico con donna Aurora, la preziosa amicizia con un collega omosessuale, coraggioso e leale, la dolce complicità di un’infermiera ausiliaria, una Sherazade spagnola dal cuore puro, la bella Rafaelita Rubio, vittima della schizofrenia, il ricordo di una bambina che sognava il porto di Sebastopoli cercandolo su un atlante, istanti che accendono un faro tanto intermittente quanto abbagliante, illuminando i fili intrecciati di tante vite diverse, diventate un’unica storia.
Nata a Madrid nel 1960, Almudena Grandes ha sempre dimostrato una grande attenzione ai personaggi femminili e non è un caso che il manicomio in cui si ambienta la sua storia fosse un manicomio femminile: fin dal suo esordio letterario, la scrittrice colpì (e conquistò) il pubblico grazie a un’intrigante eroina femminile, la protagonista del romanzo Le età di Lulù (Guanda, traduzione di Ilide Carmignani), caratterizzata da un profondo erotismo, definita dalla propria sensualità e sessualità, che finiscono per tracciarne il destino, tramite un desiderio che diventa catalizzatore di ogni scelta significativa e perfino il metronomo che ne scandisce l’esistenza e la formazione.
La figlia ideale è il quinto libro della serie storica ‘Episodi di una guerra interminabile’, una raccolta di romanzi indipendenti tra loro che raccontano la Spagna franchista attraverso le vite di diversi personaggi, dagli anni della guerra civile fino agli anni ’60. Il primo romanzo della serie, Inés e l’allegria (Guanda, traduzione di Roberta Bovaia) narra la storia di una giovane donna spagnola di origine aristocratica che, contrariamente alla sua famiglia, si schiera contro la Falange, una scelta che pagherà a caro prezzo, finendo rinchiusa nel carcere femminile di Ventas, poi in un convento e infine tra i Pirenei. A Inés non rimane che esercitare quel poco di libertà rimastale, tramite un piccolo gesto di insubordinazione: ascoltare il programma radio clandestino del partito.
Ambientato in Andalusia verso la fine degli anni ’40, Il ragazzo che leggeva Verne (Guanda, traduzione di Roberta Bovaia) è il secondo romanzo della serie, una storia che dimostra al lettore come la guerra civile si sia protratta molto più a lungo della durata degli scontri armati, trasformandosi in un conflitto lacerante, quotidiano, che aveva come unico scopo abbattere il morale dei cittadini, per piegarli all’obbedienza; in questo scenario, un giovane andaluso impara a decifrare il mondo e a discernere il bianco, il nero e le infinite sfumature di grigio, rifugiandosi nei romanzi di avventura di Jules Verne per scappare alla realtà che lo circonda.
Il terzo romanzo della serie elegge una protagonista insolita nello scenario della letteratura che racconta il regime franchista: l’eroina de I tre matrimoni di Manolita (Guanda, traduzione di Roberta Bovaia) non ha mai avuto un interesse per la politica, anzi, ne è stata alla larga il più possibile; ciò nonostante, Manolita paga le conseguenze delle scelte altrui, dei genitori e del fratello, trovandosi costretta, ancora giovanissima, a occuparsi delle sorelle, trascinata in una resistenza che fatica a capire, ma che cambierà per sempre la sua vita.
Il quarto romanzo della serie s’intitola I pazienti del dottor García (Guanda, traduzione di Roberta Bovaia) e ha per protagonista il medico repubblicano Guillermo García Medina, infatuato di una giovane falanghista e sfuggito al plotone di esecuzione grazie all’improbabile amicizia con un paziente, una spia che gli salva la vita e diventa suo compagno di avventure: nel corso della guerra fredda i due si recano da un capo all’altro del mondo nel tentativo di smascherare i gerarchi nazisti che vogliono evadere la condanna.
La figlia ideale (dal titolo originale La madre de Frankenstein) è il quinto libro di questa serie, il cui titolo, ‘Episodi di una guerra interminabile’, vuole sottolineare la lunga lotta di logoramento sostenuta dal popolo spagnolo durante gli anni della dittatura, un periodo buio quanto la guerra civile stessa e, a tratti, ancora più spaventoso. Con il suo nuovo romanzo Almudena Grandes testimonia ancora una volta l’atrocità del regime, un tema costante della letteratura spagnola come una ferita appena cauterizzata: gli spagnoli, come tanti pazienti psichiatrici, vivono nella costante paranoia causata dalla paura, con lo spirito spezzato e la forza d’animo a brandelli; paradossalmente e contro ogni aspettativa, le storie che si consumano all’interno del manicomio femminile di Ciempozuelos brillano come fiaccole di speranza, moniti a non arrendersi mai e a ricordare che anche nel deserto più arido, ogni tanto, può sbocciare una rosa.
Nota: l’immagine in alto è © Yuma Martellanz.
Fonte: www.illibraio.it