Il primo libro che nasce direttamente in italiano da un’autrice di madrelingua bengalese che ha sempre parlato e scritto in inglese. E che da giovane neolaureata si è innamorata della nostra lingua, tanto da decidere di venire a vivere in Italia
In altre parole (Guanda), il nuovo libro di Jhumpa Lahiri, è la storia di un colpo di fulmine, di un lungo corteggiamento, di una passione profonda: quella di una scrittrice per una lingua straniera.
Jhumpa Lahiri è una giovane neolaureata quando visita per la prima volta Firenze; appena sente parlare l’italiano capisce che le è stranamente familiare, che le è necessario e deve apprenderlo. Non sa spiegarsi il perché di un simile, repentino bisogno, ma sa che farà di tutto per soddisfarlo. Dapprima prova a studiare l’italiano nella sua città, New York, con una serie di insegnanti private, ma non basta.
Anche le brevi visite successive, a Mantova, Milano, Venezia, non la appagano: vuole immergersi completamente nella realtà della nuova lingua. Si trasferisce a Roma, con tutta la famiglia. E lì comincia la vera avventura, fatta di slanci, entusiasmo e insieme di difficoltà ed estraniamento.
In altre parole è il primo libro che nasce direttamente in italiano da un’autrice di madrelingua bengalese che ha sempre parlato e scritto in inglese. È la testimonianza di un tenace percorso di scoperta e di apprendimento e di un obiettivo, raggiunto, di potenza e fluidità espressiva, ancora più preziosa perché conserva tra le righe l’eco affascinante di una distanza, quella che sempre ci separa dall’oggetto d’amore: la distanza impercettibile e infinita del desiderio.
Su IlLibraio.it un estratto
(per gentile concessione di Guanda)
LA TRAVERSATA
Voglio attraversare un piccolo lago. È veramente piccolo, eppure l’altra sponda mi sembra troppo distante, oltre le mie capacità. So che il lago è molto profondo nel mezzo, e anche se so nuotare ho paura di trovarmi nell’acqua da sola, senza nessun sostegno.
Si trova, il lago di cui parlo, in un luogo appartato, isolato. Per raggiungerlo si deve camminare un po’, attraverso un bosco silenzioso. Dall’altra parte si vede una casetta, l’unica abitazione sulla sponda. Il lago si è formato subito dopo l’ultima glaciazione, millenni fa. L’acqua è pulita ma scura, priva di correnti, più pesante rispetto all’acqua salata. Dopo che ci si entra, ad alcuni metri dalla riva, non si vede più il fondo.
Di mattina osservo quelli che vengono al lago come me. Vedo come lo attraversano in maniera disinvolta e rilassata, come si fermano qualche minuto davanti alla casetta, poi tornano indietro. Conto le loro bracciate. Li invidio.
Per un mese nuoto in tondo, senza spingermi al largo. È una distanza molto più significativa, la circonferenza rispetto al diametro. Impiego più di mezz’ora per fare questo giro. Però sono sempre vicina alla riva. Posso fermarmi, posso stare in piedi se mi stanco. Un buon esercizio, ma non certo emozionante.
Poi una mattina, verso la fine dell’estate, mi incontro lì con due amici. Ho deciso di attraversare il lago con loro, per raggiungere finalmente la casetta dall’altra parte. Sono stanca di costeggiare solamente.
Conto le bracciate. So che i miei compagni sono nell’acqua con me, ma so che siamo soli. Dopo circa centocinquanta bracciate sono già in mezzo, la parte più profonda. Continuo. Dopo altre cento rivedo il fondo.
Arrivo dall’altra parte, ce l’ho fatta senza problemi. Vedo la casetta, finora lontana, a due passi da me. Vedo le distanti, piccole sagome di mio marito, dei miei figli. Sembrano irraggiungibili, ma so che non lo sono. Dopo una traversata, la sponda conosciuta diventa la parte opposta: di qua diventa di là. Carica di energia, riattraverso il lago. Esulto.
Per vent’anni ho studiato la lingua italiana come se nuotassi lungo i bordi di quel lago. Sempre accanto alla mia lingua dominante, l’inglese. Sempre costeggiandola. È stato un buon esercizio. Benefico per i muscoli, per il cervello, ma non certo emozionante. Studiando una lingua straniera in questo modo, non si può affogare. L’altra lingua è sempre lì per sostenerti, per salvarti. Ma non basta galleggiare senza la possibilità di annegare, di colare a picco. Per conoscere una nuova lingua, per immergersi, si deve lasciare la sponda. Senza salvagente. Senza poter contare sulla terraferma.
Qualche settimana dopo aver attraversato il piccolo lago nascosto, faccio una seconda traversata. Molto più lunga, ma niente di faticoso. Sarà la prima vera partenza della mia vita. Questa volta in nave, attraverso l’oceano Atlantico, per vivere in Italia.
(continua in libreria…)
Fonte: www.illibraio.it