"Il quaderno di Nerina" è la prima raccolta di poesie della scrittrice, traduttrice e saggista Jhumpa Lahiri, autrice pluripremiata sia per le sue opere in lingua inglese sia in lingua italiana. ilLibraio.it l'ha intervistata in occasione di questa pubblicazione, ma anche in merito ai diversi progetti che l'hanno vista protagonista negli ultimi mesi: traduzioni in inglese dall'italiano e dal latino, un'autotraduzione, la cura di una raccolta di racconti italiani e infine l'ultima silloge di versi, che raccoglie e fa tesoro di tutte queste esperienze diverse tra loro
Il quaderno di Nerina (Guanda) è l’ultima pubblicazione di Jhumpa Lahiri, scrittrice pluripremiata (Premio Pulitzer per la narrativa, Premio PEN e molti altri), traduttrice, saggista, professoressa di scrittura creativa all’università di Princeton e ora anche poetessa. Si tratta infatti del primo libro di poesie per l’autrice, la cui carriera è iniziata in lingua inglese, ma che da diversi anni ha deciso di continuare la sua produzione anche in italiano. In altre parole e Dove mi trovo sono i testi che hanno avuto origine in lingua italiana, ai quali ora si aggiunge anche la raccolta di versi appena uscita.
Il viaggio di Lahiri nella nostra lingua, però, non si limita a questo. L’autrice, infatti, si occupa anche di tradurre opere italiane in lingua inglese (in particolare è la traduttrice di diversi romanzi di Domenico Starnone) e ha recentemente curato una raccolta dal taglio autoriale di racconti di autori italiani noti e meno noti (Racconti italiani, edito in Italia da Guanda).
Le sue avventure linguistiche si sono recentemente ampliate anche con un’altra sfida. È da poco uscita la traduzione in lingua inglese del romanzo Dove mi trovo, dal titolo Whereabouts, in cui Lahiri si è trovata contemporaneamente nei panni di scrittrice e traduttrice; mentre la traduzione inglese del precedente In altre parole era stata affidata ad Ann Goldstein, traduttrice tra gli altri di Elena Ferrante.
Un simile sdoppiamento è quello che Lahiri porta avanti ne Il quaderno di Nerina. Nella prefazione l’autrice crea una cornice narrativa di tipo verosimile: le poesie apparterrebbero a una scrittrice di nome Nerina, che ha lasciato dentro la scrivania il suo quaderno, poi trovato da Lahiri nel suo appartamento romano.
Lahiri, secondo questa cornice, sarebbe quindi curatrice e non autrice dei componimenti; gli innumerevoli tratti di somiglianza che la legano alla poeta però rimangono alla luce del sole, rintracciabili in molti versi. In questo gioco letterario in cui le note non sono superflue, ma parte integrante della narrazione, Lahiri si presenta quindi come critica letteraria e filologa del suo doppio poetico.
Le poesie della raccolta uniscono riferimenti alti ai grandi poeti letteratura italiana e inglese a scene di una quotidianità semplice ma altrettanto profonda: hanno spesso protagonisti oggetti persi o ritrovati, simbolo di momenti di vita passata, luoghi lontani e vicini, persone venute a mancare, legami affettivi teneri e al contempo dolorosi. Non mancano poi i giochi linguistici, sia nei versi che si concentrano su sorprendenti giochi di significato, sia nelle note che esplicitano quelli nascosti tra le righe.
ilLibraio.it ha intervistato l’autrice per parlare de Il quaderno di Nerina e della direzione attuale della sua carriera letteraria.
Della sua produzione letteraria fanno parte romanzi, racconti, saggi: cosa l’ha portata a dedicarsi alla poesia?
“In realtà non è stata una scelta, questi versi si sono presentati a me. Prima non avevo mai scritto poesie, neanche in inglese, nonostante i miei studi mi abbiano condotto a una conoscenza profonda della poesia anglofona. Poi, come ho approfondito nel pezzo che ho scritto di recente per La Stampa, la lettura mi conduce alla scrittura, nel senso che la scrittura è spesso una risposta a ciò che sto leggendo. Non pensavo di avere le capacità di esprimermi in quel senso, ho seguito la strada della poesia perché questa forma di scrittura mi ha visitato nel periodo in cui ero a Roma per la pubblicazione di Dove mi trovo“.
In una nota alla poesia Rovistare, lei scrive: “Una parola chiave in un’opera che ricalca il tema della perdita”. Sembra però ci sia un altro filo rosso, quello degli oggetti ritrovati che alludono al tema opposto del ritrovamento.
“Questo è il filo rosso, gli oggetti perduti e ritrovati. Lo era già, anche se in modo più sottile, in Dove mi trovo. Per me “rovistare” e” ritrovare” sono due facce della stessa medaglia. L’atto di rovistare—cercare in maniera assidua—è sempre in dialogo con qualcosa di mancante. Ci riconduce a un oggetto perso, oppure ci conduce a una scoperta (come nel libro, la scoperta del quaderno di Nerina nasce grazie all’atto di rovistare nel cassetto). La parola rovistare per me sa di un potere molto misterioso. Viene dal latino, da “revisitare,” cioè l’impulso di tornare che è, per me, il punto di partenza della scrittura. Mi colpisce un’osservazione di Pavese che riguarda molto il senso di “rovistare”: ‘Bisogna sapere che noi non vediamo mai le cose una prima volta, ma sempre la seconda.’ Il ritrovarsi poi è anche un tema della sezione ‘Accezioni’, in cui c’è un’attenzione alle parole italiane e c’è l’idea di provare a ritrovarsi in una nuova lingua. Alcune di queste poesie inoltre sono radicate nell’infanzia e nel passato profondo, non solo nelle esperienze che ho vissuto dopo il trasferimento a Roma; mi ha colpito l’aver utilizzato proprio la lingua italiana per tornare molto più indietro nel passato”.
Ed è riuscita a ritrovarsi?
“In realtà tutto è un tentativo. Però credo di aver raggiunto un nuovo traguardo perché ho scoperto una nuova lingua, cioè la lingua della poesia che è parte dell’italiano. Questa mi ha permesso di scavare e capire certe cose che prima non riuscivo ad afferrare. C’è sempre un tentativo di raggiungere la verità, in questo senso ogni libro è un tentativo, perché non dice mai tutto. Sfiori in qualche maniera un certo terreno e poi ovviamente devi scrivere un altro libro perché l’altro non risulta completamente esauriente. I ricordi e le esperienze ci sfuggono, non è possibile contenerli”.
In questo periodo è uscita anche la sua traduzione in lingua inglese di Dove mi trovo, che ha scritto originariamente in italiano. Come ha vissuto il processo di traduzione di se stessa?
“È stato molto illuminante perché ho vissuto la trasformazione del mio libro. Poi la traduzione mi ha portato a tornare sul testo italiano perché ogni volta il passaggio da una lingua all’altra fa scatenare una serie di cambiamenti linguistici e nuove consapevolezze. È stato inevitabile, studiando il libro con l’intensità richiesta dalla traduzione, tornare ad aggiustare e limare il testo originale. Sono così tornata all’idea di ritrovarsi e ripercorrere le strade. Credo sia anche il tema di questo nuovo libro ibrido, in cui c’è il commentario, il paratesto, le poesie e le note”.
La scelta di apporre delle note alle sue stesse poesie, sdoppiandosi in quanto poeta e curatrice, è assimilabile all’esperienza di autotraduzione?
“Mentre durante la traduzione mi sono sottoposta a un’illusione, un gioco mentale che mi richiedeva di avere due atteggiamenti diversi nei confronti del libro pur essendo la stessa persona, ne Il quaderno di Nerina ho creato un alter ego, questa poetessa che non sono io, pur non nascondendomi dietro la sua identità. In realtà ci sono tre identità in gioco, perché divento anche la curatrice e commentatrice delle poesie. Il quaderno di Nerina è quindi in qualche modo il contenitore di tutte le mie attività degli ultimi anni, perché trae anche dall’esperienza di curatrice dell’antologia Racconti italiani”.
Tornando ai temi delle poesie, un altro elemento importante è la quotidianità, al contempo semplice e profonda. Che valore ha per lei?
“Per me tutta la profondità è lì: la quotidianità è sempre stata la mia chiave per riflettere sul senso della vita, è il mio linguaggio. In realtà è il linguaggio di molti scrittori, e soprattutto nella poesia si può esprimere l’attenzione a questi gesti. La giornata che scorre, le abitudini, gli oggetti che sembrano minori e questa loro minorità che in realtà è il centro della vita. Certi oggetti li usiamo, li perdiamo, li vogliamo, li desideriamo: è un avanti e indietro con la vita quotidiana che poi ci fa capire la vita prima e dopo un cammino specifico”.
Sembra un periodo molto fertile per la sua scrittura: sta lavorando ad altri progetti?
“Sì, è stato un periodo molto intenso, in parte per la pandemia, perché quest’anno non ho fatto altro che lavorare, e in parte anche perché sono diventata traduttrice negli ultimi anni. In autunno uscirà la mia traduzione in inglese di Confidenza di Domenico Starnone e nel giro di un anno uscirà un altro mio libro in italiano, una raccolta di racconti. Poi sto finendo un libro in inglese che raccoglierà saggi sul tema della traduzione. Sono anche alle prese con una nuova traduzione dal latino all’inglese delle Metamorfosi di Ovidio; sto scalando questa montagna magnifica con una collega latinista. Questo progetto richiederà tanto tempo e un certo tipo di attenzione, anche perché il latino è legato agli studi di diversi anni fa, e quindi c’è molto da risvegliare: è davvero stimolante. E poi lavorare su 20/30 versi al giorno è molto bello, perché mi permette di soffermarmi con un’attenzione pura e molto concreta alle parole. Non so cosa verrà dopo perché ho sperimentato molto in questo periodo”.
La pandemia le ha permesso di essere più produttiva, influenzerà il suo lavoro anche da un punto di vista tematico?
“È troppo presto dirlo, perché non è ancora finita. Non mi sento completamente libera, avendo soprattutto tanti cari in India dove la situazione è ancora terribile. Poi è inutile dire che tutte le esperienze di questo periodo cambiano la vita, nel bene e nel male, penso per esempio alle nascite così come alle perdite. Io purtroppo quest’anno ho perso mia madre, ma nel libro che sta per uscire lei c’è, è presente. Per questo le riflessioni che contiene hanno per me un significato molto importante. Non so quindi come cambierà la mia produzione; so che ora mi colpisce sempre di più il rapporto con la natura, una dimensione che non viene mai persa e in cui mi ritrovo sempre di più, e forse le poesie potranno aiutarmi a esplorare questo tema”.
Fonte: www.illibraio.it