In occasione dell'uscita del suo nuovo romanzo, "A cuore aperto" (dal 13 maggio in libreria), su ilLibraio.it la scrittrice spagnola Elvira Lindo riflette su risvolti e significati dei romanzi famigliari citando tanti esempi celebri, da Natalia Ginzburg ad Albert Cohen, da Richard Ford a Joan Didion, passando per molti altri autori...
Ogni epoca genera un tipo di letteratura che è conseguenza di una necessità non detta, non espressa dalla comunità dei lettori, ma che in qualche modo si respira nell’aria. Mi spingo a dire che lo scossone della globalizzazione, la vertigine di trasformarci in esseri senza radicamento, sottoposti a poteri ben lontani dal nostro controllo, ha via via suscitato il desiderio di rimarcare l’identità come una maniera di proteggersi dall’uniformità.
Lasciando da parte le conseguenze politiche che tutto questo implica, è certo che le nuove generazioni di scrittori stanno dando una risposta a questo richiamo e scrivono con grande frequenza di ciò che li definisce come individui o come membri di una collettività: il peso delle origini famigliari, la terra in cui si è cresciuti, la peculiarità sessuale, il conflitto razziale, il trauma infantile, il racconto della violenza che provoca una determinata condizione, insomma, tutto ciò che persegue l’identificazione del lettore.
Capisco che, più che dalla moda, questa letteratura è guidata da un impulso generazionale, ed è così che bisogna intenderlo, sebbene ci siano letterati e critici che detestano queste questioni e ancor più i generi ibridi in cui di solito si esprimono, ciò che chiamano autofiction. Curiosamente, spesso includono in questo ambito letterario il romanzo famigliare, cosa che a mio giudizio è inesatta e poco perspicace.
L’APPUNTAMENTO CON “LIBIVE” SULLA PAGINA FACEBOOK DE ILLIBRAIO.IT – Il 24 maggio alle 18, Elvira Lindo presenta A cuore aperto in dialogo con Teresa Ciabatti
Il romanzo famigliare, assumendo che possano essere così denominati i romanzi in cui si inscrivono quelle opere in cui un autore o un’autrice narra la vita della propria famiglia, è sempre esistito. È significativo, naturalmente, che ora l’età degli autori che creano questo tipo di storie si sia abbassata, perché a volte la narrazione famigliare è la prima opera che pubblicano.
Tradizionalmente, il romanzo famigliare ha risposto a un bisogno di riflettere in età matura su coloro che ci hanno messi al mondo. A volte è conseguenza del lutto, altre, del semplice desiderio di guardarsi indietro; a volte lo sguardo è nostalgico, altre, al contrario, sgorga dal trauma; la maggior parte delle volte, credo, nasce dal desiderio di comprendere coloro che conoscevamo quasi quanto non conoscevamo, i nostri genitori.
Mi ha sempre molto appassionato analizzare il territorio dell’infanzia, il momento in cui una creatura è innocente di tutti gli errori che commetterà in seguito. Difatti, da un paio d’anni mi ha preso la passione di disegnare, seguendo un metodo di meditazione attiva, e dalla mia matita sono usciti ritratti di artisti che ammiro nei loro anni infantili.
Ne ho disegnati a decine: Alice Munro nella sua infanzia rurale, Grace Paley in un portone del Bronx, Scott Fitgerald montato sul cavallino di una giostra, Basquiat già circondato dai simboli che poi lo avrebbero reso famoso. Ho deciso di ritrarli quando lo sguardo esibiva ancora tutta la sua purezza, quando non c’era alcun segno di degradazione, e la cosa sorprendente è che era già lì, in ciascuno di loro, a pulsare nei loro occhi infantili, il talento artistico che sarebbe diventato visibile anni dopo. Mi ha aiutato molto a capire il modo in cui l’infanzia determina la scelta di una strada o di un’altra.
Sono stata una grande lettrice di romanzi famigliari. Nella mia biblioteca c’è un posto privilegiato per le opere di Natalia Ginzburg, il suo Lessico famigliare è stato sempre di grande ispirazione per me, così come Il libro di mia madre, di Albert Cohen, o Mia madre, un ricordo, di Richard Ford. Il modo in cui Alice Munro ha trasformato la sua infanzia e la sua giovinezza in narrazione, o l’esperienza della maternità, mi ha fornito il coraggio necessario ad affrontare quella missione, superando la paura che sempre si prova quando si fanno i conti con qualcosa di molto intimo. Il suo coraggio mi ha dato coraggio.
La sfacciataggine e l’irriverenza di Edna O’Brien per raccontare una giovinezza dominata dalla chiesa cattolica, l’ironia con cui Vivian Gornick descrive il complicato rapporto con sua madre, la distanza analitica di Joan Didion nell’affrontare la perdita repentina delle persone a lei care sono state determinanti nella mia narrativa. Sono tanti gli esempi di scrittori e scrittrici da cui ho imparato e continuo a farlo.
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Io, che dentro di me non ho più di trentacinque anni, mi sono trovata di fronte alla realtà di vedermi allo specchio come una donna matura, e dalla distanza degli anni ho voluto avvicinarmi all’amore che hanno provato l’uno per l’altra, prima che io nascessi, Manuel e Antonia, i miei genitori.
È la stessa cosa che ha fatto Bergman ne La buona volontà, libro che ho terminato proprio oggi e che mi ha commosso perché osservo nell’autore la stessa intenzione che avevo io nello scrivere A cuore aperto. Ho cercato di accompagnare i miei genitori nel punto di partenza delle loro vite, di contemplare la loro prima passione, la loro buona volontà, e poter così comprendere tutte le ombre che sono venute poi.
(traduzione di Bruno Arpaia)
L’AUTRICE E IL LIBRO – Elvira Lindo è nata a Cadice e si è trasferita a Madrid a dodici anni. Scrittrice e giornalista, collabora con varie testate, fra cui El País, ed è l’autrice di una fortunata serie di romanzi per bambini. Scrive anche per il cinema e per il teatro.
Guanda porta ora in libreria l’atteso A cuore aperto (traduzione di Roberta Bovaia), romanzo che attraversa un intero Paese in un periodo di grandi cambiamenti e che racconta una storia d’amore imperfetta, un’infanzia bruscamente interrotta e, infine, la riconciliazione di una figlia con le luci e le ombre di un padre. La scrittrice spagnola ha infatti saputo trasformare in letteratura ogni lampo della sua memoria.
La trama ci fa incontrare quattro fratelli, di cui Elvira è la minore, un padre dalla personalità esuberante, con un lavoro che lo porta in giro per tutta la Spagna, e una madre riservata e apprensiva: il loro è un matrimonio burrascoso, segnato dalla gelosia di lui e dall’arrendevolezza e dalla malattia di lei.
Nel romanzo Elvira Lindo ricostruisce dunque la storia della sua famiglia. La vicenda prende le mosse dall’infanzia del padre, Manuel, dalla sua lotta per sfuggire alla miseria quando viene spedito nella Madrid dilaniata dalla guerra a soli nove anni. Diventerà un uomo diffidente seppur generoso, abituato a mascherare i sentimenti con l’ironia. Grazie alla sua scaltrezza Manuel trova un buon lavoro e mette su famiglia; ma vivere con lui non è facile, e la moglie, morbosamente attaccata ai figli, rimpiange di non avere realizzato le proprie aspirazioni, e spesso si sente oppressa, schiacciata da un peso sul petto che negli anni diventerà un macigno…
Fonte: www.illibraio.it