"Vivere per qualcosa" è un dialogo in cui Luis Sepúlveda, Carlo Petrini e José Mujica affrontano diverse problematiche del mondo contemporaneo, dallo sviluppo sostenibile alla politica della solidarietà... - Su ilLibraio.it un capitolo del libro
S’intitola Vivere per qualcosa il nuovo libro firmato da Luis Sepúlveda, Carlo Petrini e José Mujica, tre personalità carismatiche che affrontano alcune tra le questioni più urgenti della nostra epoca: lo sviluppo sostenibile, il rispetto dell’ambiente, la solidarietà e la condivisione, in un’ottica di riscoperta della semplicità.
Uno degli autori è Carlo Petrini, fondatore di Slow Food, vincitore nel 2013 del premio Campione della Terra da parte del Programma Ambiente delle Nazioni Unite; è anche autore di diversi testi dedicati al tema della produzione alimentare sostenibile, come Buono, pulito e giusto. Principî di nuova gastronomia (Einaudi), Terra Madre. Come non farci mangiare dal cibo (Giunti-Slow Food) e Cibo e libertà (Giunti-Slow Food, 2013).
Insieme a lui scrive José Alberto Mujica Cordano, politico uruguaiano, noto come Pepe Mujica, senatore della repubblica e capo dello Stato fino al 2015, ex guerrigliero dei tempi della dittatura, un uomo che è stato soprannominato “il Presidente più povero del mondo”, in quanto aveva scelto di trattenere solo una piccola quota di stipendio, pari a circa 800 euro al mese, donando il resto ad associazioni benefiche. In un’intervista al quotidiano colombiano El Tiempo Mujica disse che tale quantità di denaro gli era sufficiente, alla luce del fatto che molti suoi connazionali devono vivere con meno.
Infine Luis Sepúlveda, cileno residente in Spagna, autore di diversi bestseller, come Patagonia Express, Le rose di Atacama, Storia di una gabbianella e del gatto che le insegnò a volare, tutti pubblicati in Italia da Guanda; inoltre è dottore honoris causa alla Facoltà di Lettere presso l’Università di Urbino, nel 2014 ha vinto il Premio Chiara alla carriera e nel 2016 il Premio Hemingway per la Letteratura.
Il dialogo, edito da Guanda, unisce etica e politica, ecologia e compassione, in un testo che mira a risvegliare nel lettore soprattutto la consapevolezza attenta e volontaria a temi che vengono troppo spesso trattati distrattamente. È un testo che parte dal presupposto che, se è necessario vivere per qualcosa, quel qualcosa quel qualcosa debba essere la ricerca della felicità: non la felicità individuale, ma quella collettiva, globale, che passa per il rispetto degli altri e dell’ambiente, prima ancora che di se stessi; un libro che vuole suggerire una strada per ricondurre la società e la politica verso l’autenticità e la semplicità dei valori fondamentali.
Per gentile concessione dell’editore, su ilLibraio.it pubblichiamo un estratto, firmato da Carlo Petrini:
C’è prima di tutto una premessa da fare: nessuno è depositario di chissà quale alchimia per arrivare alla felicità, non esistono formule miracolose, non ci sono sentieri tracciati o ricette da seguire.
Mi piace a proposito citare un nostro detrattore, perché a volte anche quelli che parlano male dicono cose simpatiche. A proposito di questo dialogo ho letto: «Mujica, Sepúlveda, Petrini: tre comunisti. Una volta i comunisti mangiavano i bambini, adesso raccontano favole». Fantastico, fantastico! Credo fosse difficile fare un complimento migliore di questo, anche se fatto involontariamente. Scrivere favole è una delle cose più difficili che ci siano, creare mondi attraverso i quali esprimere valori, modelli di convivenza, pensieri e visioni di futuro. Questa è arte sublime, e Luis Sepúlveda ha portato quest’arte al suo massimo livello. Ha saputo per tutta la vita toccare il cuore e l’immaginario di milioni di adulti e bambini. Questa è già felicità, questo è già un passo nella direzione della piena realizzazione come esseri umani. Scrivere, leggere, lasciarsi trasportare e trascinare in un universo possibile, far volare l’immaginazione dove solo i nostri desideri più profondi la sanno condurre, nel cielo della nostra fanciullezza che si fa maturità e poi vecchiaia in un attimo che deve essere vissuto pienamente, intensamente, consapevolmente.
Il legame tra i nostri sogni di bambini e il nostro bilancio quando arriviamo all’età in cui ci si guarda indietro è molto più forte di quanto possiamo pensare, è molto più diretto e passa per le nostre scelte di ogni giorno, per ciò che ci muove quando ci alziamo al mattino, e che ci fa andare a dormire sereni o meno.
Recentemente ho avuto l’opportunità di conoscere un altro ragazzo, che si chiama Zygmunt Bauman e che purtroppo da poco ci ha lasciato. Ho avuto la fortuna di incontrarlo a casa sua a Leeds, alla soglia dei novant’anni. Anche con lui abbiamo parlato di felicità (chissà perché è così facile parlare di questo argomento quando si arriva a una certa età) e mi ha detto una cosa tanto semplice quanto incredibilmente vera, che penso possa dare l’avvio alle nostre riflessioni: «Non è l’assenza di problemi che ci dà la felicità, al contrario fronteggiare le difficoltà, di qualunque natura siano, mettersi in gioco per superarle, lottare per cambiare una situazione ingiusta, esplorare possibilità e scenari per scavalcare gli ostacoli, questa è l’essenza della felicità».
Io penso che questa sia una conclusione bellissima, perché riguarda la vita di ciascuno, perché parla a ciascuno di noi. Non si tratta di avere talenti particolari, di condurre vite straordinarie, questo approccio è semplicemente la vita: affrontare un problema, mettersi nella condizione di trovare una soluzione, capire che la possibilità di raggiungerla è alla nostra portata. Queste tre condizioni realizzano già un enorme pezzo di felicità, ci danno dignità e orgoglio per lottare, per andare avanti, per essere a posto con noi stessi e con il mondo.
Pensando a Sepúlveda e Mujica, che mi accompagnano in questa riflessione sul tema della felicità, non posso non provare un senso di privilegio. Loro hanno lottato e pagato un prezzo altissimo in nome della democrazia e della libertà nei loro paesi, hanno sofferto ingiustizie e violenze in prima persona. Da questo punto di vista io posso ritenermi di gran lunga il più fortunato, per certi aspetti verrebbe da dire il più felice. Mi avvicino ai settant’anni, appartengo all’unica generazione della storia d’Italia che per settant’anni ha vissuto in pace. Prima di noi, per trovare un periodo così lungo senza conflitti, bisogna risalire fino all’Impero romano. Mio padre ha vissuto la guerra, mio nonno ha vissuto la guerra, e andando indietro, generazione dopo generazione, sempre conflitti, sempre guerre. Verrebbe allora da dire, semplicemente, che gli italiani di oggi debbano essere i più felici. Eppure non è lì che sta la felicità, parliamo di un’altra cosa. Se guardo Pepe e Luis negli occhi, se sento le loro parole, ecco che lì vedo la scintilla della serenità, la consapevolezza che quello per cui si è lottato e sofferto era una causa giusta, umana, universale. In questo vedo la felicità.
(Continua in libreria…)
Nota: la foto di José Mujica è di Roosewelt Pinheiro, Agencia Brasil. La foto di Carlo Petrini è di Bruno Cordioli.
Fonte: www.illibraio.it