Fitzcarraldo (diventato per mano del suo stesso autore un film leggendario), è l’emozionante vagabondaggio di una fantasia ben decisa a rifiutare la frustrazione quotidiana dell’homo sapiens, e di continuo stimolata, con scarti non controllabili, verso l’evasione. Inconfondibilmente il protagonista vi riprende i tratti di un altro eroe di Herzog, quel fantasma corrusco che dal buio dello schermo subito ci ha penetrati e invasi: Aguirre. Come lui, vive, senza ostacoli interiori, un delirio di grandezza; come lui, contrappone allo squallore di una società dai ruoli predeterminati l’ipotesi della conquista di un lontano, di un inconoscibile. A differenza di lui, non sigilla la sconfitta con la nota lacerante del dramma; accetta invece la realtà, quando apparentemente il gioco è chiuso, per sabotarla, per minarla, per corromperla con lo strumento sottile dell’ironia.
Questo estremo conquistador, arrivato con tre secoli di ritardo in un’Amazzonia stuprata dagli speculatori del caucciù, affronta «il paese sognante», come gli indigeni chiamano la foresta solcata dal fiume immenso, non per arricchirsi, ma per fissare se stesso in uno spazio e in un tempo che sa già improbabili, per fondare, tracciando confini che la prima pioggia dissolverà, una città, ma d’aria, di nuvole, che porti il suo nome.
Parte, su un battello sconnesso, al suono di melodie verdiane, diffuse, per il gran mare verde, da un vecchio grammofono, cantate dalla voce di Caruso; e ritorna nel clangore della Valchiria wagneriana. In questa sostituzione, amara e spiritosa, sta la risposta di Fitzcarraldo al mondo: spenta la fiamma patetica del cuore, il suo viaggio continuerà, nei meandri della foresta di cemento, come freddo, astuto artifizio della ragione.
Giorgio Cusatelli
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Questo estremo conquistador, arrivato con tre secoli di ritardo in un’Amazzonia stuprata dagli speculatori del caucciù, affronta «il paese sognante», come gli indigeni chiamano la foresta solcata dal fiume immenso, non per arricchirsi, ma per fissare se stesso in uno spazio e in un tempo che sa già improbabili, per fondare, tracciando confini che la prima pioggia dissolverà, una città, ma d’aria, di nuvole, che porti il suo nome.
Parte, su un battello sconnesso, al suono di melodie verdiane, diffuse, per il gran mare verde, da un vecchio grammofono, cantate dalla voce di Caruso; e ritorna nel clangore della Valchiria wagneriana. In questa sostituzione, amara e spiritosa, sta la risposta di Fitzcarraldo al mondo: spenta la fiamma patetica del cuore, il suo viaggio continuerà, nei meandri della foresta di cemento, come freddo, astuto artifizio della ragione.
Giorgio Cusatelli
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