Il «campo di concentrazione» è la clinica psichiatrica di Zurigo in cui Ottiero Ottieri soggiorna tra il 1970 e il 1971 per curare una nevrosi depressiva: un carcere volontario, ma pur sempre un carcere, che costringe il paziente a soffermarsi sul suo male. Da questa esperienza nasce un diario anomalo in cui la narrazione non è scandita in giorni, ma scorre in un ininterrotto monologo che riproduce il dilatarsi del tempo nella mente ossessiva del paziente. Ottieri ci mette di fronte a una malattia del pensiero, che lo sprofonda nel nero baratro della disperazione e lo rende ostaggio della paura e del dubbio. Giornate in cui vita e malattia sono diventate una cosa sola. Giornate in cui, dall’ora della sveglia fino al vuoto vertiginoso del dopocena, ogni più piccola decisione innesca il terrore della scelta. Dove azioni come alzarsi dal letto, lavarsi, radersi e vestirsi risultano difficilissime, al punto che, sostiene Ottieri, soltanto quando sarà in grado di farsi la barba felicemente potrà dirsi guarito. Eppure in Ottieri non viene mai meno l’impulso alla vita e la sua scrittura è in definitiva un tentativo di resistere alla malattia. Il mondo irrompe tra le pagine del diario e davanti agli occhi dell’autore sfilano le esistenze degli altri: le donne amate, i medici, le infermiere, i pazienti. Così, come scrive nella sua prefazione Vittorio Lingiardi, «nella somiglianza di tutte le sue pagine, il miracolo di questo libro è riuscire a essere continuamente diverso». Sfoglia le prime pagine