La vita di una delle figure più rappresentative del secolo scorso viene raccontata in un graphic novel dal titolo "Le tre fughe di Hannah Arendt" da Ken Krimstein
“Troppo presto. Troppo arrabbiata. Troppo intelligente. Troppo stupida. Troppo onesta. Troppo arrogante. Troppo ebrea. Non abbastanza ebrea. Troppo amorevole, troppo odiosa, troppo umana, non abbastanza umana”. Ken Krimstein, uno dei più importanti cartoonist del New Yorker, ritrae la vita di una delle figure più rappresentative del secolo scorso in un graphic novel dal titolo Le tre fughe di Hannah Arendt (Guanda, traduzione di Antonella Bisogno).
Hannah Arendt (Hannover, 14 ottobre 1906 – New York, 4 dicembre 1975), che lavorò come giornalista e docente universitaria, viene spesso ricordata per il suo saggio più conosciuto: La banalità del male (Feltrinelli, traduzione Piero Bernardini). Ma dopo aver lasciato la Germania nazista per sfuggire alle persecuzioni dovute alle sue origini ebraiche, si occupò di diverse opere di filosofia politica riguardanti la natura del potere, la politica, l’autorità e il totalitarismo.
Arendt solleva il problema che il male possa non essere radicale, ma legato all’assenza di radici, di memoria e dell’assenza di dialogo con se stessi: definisce gli “agenti del male” come un popolo disinteressato che non sente la responsabilità dei propri crimini, e privo di senso critico. Tra i suoi saggi più famosi anche Le origini del totalitarismo (Einaudi, 1951, traduzione Amerigo Guadagnin), dove indaga sulle radici dello stalinismo e del nazismo, connettendole all’antisemitismo; e Vita activa (Bompiani, 1958, traduzione di Sergio Finzi) in cui cerca, come scrive nell’introduzione italiana Alessandro Dal Lago, “una teoria libertaria dell’azione nell’epoca del conformismo sociale“.
Le tre fughe di Hannah Arendt è il ritratto di una donna complessa, controversa, coraggiosa, dalla profonda intelligenza e dal grande amore per la verità: tre momenti della vita della politologa in cui, costretta a lasciare un luogo per trovarne uno nuovo dove sopravvivere, arriva a intuizioni spiazzanti sulla condizione umana. Alla fine (e all’inizio) resta la domanda: come mai questa persona, grande filosofa del XX secolo, ha rinunciato alla filosofia? E, nonostante ciò, il suo pensiero offre comunque all’umanità un possibile modo per andare avanti?
Fonte: www.illibraio.it