Arriva in libreria "Il cuore nero delle donne". E Luca Crovi, esperto di noir, che ha curato la raccolta di racconti in cui una serie di autrici italiane raccontano "8 storie di assassine", su IlLibraio.it compie un viaggio nei gialli al femminile... (nella foto Agatha Christie)
Qualcuno sostiene che le scrittrici di gialli siano più buone degli scrittori maschi, più romantiche, più delicate. Non credetegli! È solo una favola messa in giro tanti secoli fa da Eva per farvi mordere la solita mela bacata o avvelenata se preferite. Mi vengono davvero i brividi se penso a quello che sono state capaci di scrivere autrici come Ben Pastor, Patricia Highsmith, Agatha Christie, Patricia Cornwell, Alicia Giménez-Bartlett, Kathy Reichs, Anne Perry o anche a quello che hanno ideato le nostre Carolina Invernizio, Danila Comastri Montanari, Laura Grimaldi, Nicoletta Vallorani, Barbara Garlaschelli, Elda Lanza, Lorenza Ghinelli, Margherita Oggero, Elisabetta Bucciarelli, Rosa Mogliasso, Adele Marini, Alessia Gazzola. Nessuna di loro se la dovessi giudicare dai romanzi che ha scritto mi sembrerebbe così innocua da poterci bere insieme tranquillamente un the con i biscottini senza controllare oculatamente quello che sto bevendo o mangiando. Se avete mai letto una delle loro opere saprete benissimo che sono esperte in avvelenamenti, in squartamenti, in rapimenti, in psicologie distorte, in indagini ad alto rischio. Il rosa non è certo il loro colore preferito, prediligono di solito il rosso sangue o il nero profondo per vestirsi a festa.
Agatha Christie non ha mai celato la sua passione per i veleni, sostenendo di averla in qualche modo acquisita facendo l’infermiera durante la Prima guerra mondiale. Fra un bestseller giallo e l’altro arrivò a sostenere: “Non è tanto il delitto in se stesso che mi interessa bensì quello che vi si nasconde dietro… Mi interessa enormemente lo studio dei caratteri. Non ci si può occupare di un crimine senza tener conto della psicologia”. D’altra parte, impietosamente Lady Agatha ribadiva che è naturale guardare con sospetto il mondo che ci circonda visto che “ogni omicida è sempre il vecchio amico di qualcuno…” e che “chi ha ucciso una volta, quasi sempre ricade nel delitto, non fosse che per tentare di assicurarsi l’impunità”.
Patricia Highsmith, nata curiosamente il 19 gennaio così come Edgar Allan Poe, amava alla follia la letteratura di Kafka, Sartre, Camus e Tolstoj e ammetteva di scrivere romanzi che assomigliavano il più possibile ai dipinti di Francis Bacon, secondo lei l’artista che meglio aveva ritratto in nero il mondo, ovvero: «Il genere umano che vomita nel gabinetto con il sedere nudo in vista». Forse per questi motivi le venne così naturale descrivere la banalità del male in tutte le sue forme ed ebbe sempre una sua lucida idea di come andasse costruito un noir: «penso che concentrarsi sul chi è stato sia solo un modo sciocco di stuzzicare la gente… a me non interessa come non mi interessano i rompicapo». Come dimostrano i suoi racconti e i suoi romanzi alla Highsmith interessavano non i detective super razionali o i poliziotti senza paura ma quegli assassini che per certi versi considerava “una razza superiore e predatrice” molto simile ai felini da lei tanto amati.
Singolare è anche la molla creativa che ha fatto scaturire in Patricia Cornwell la passione per la narrativa di genere, visto che si tratta di un rapporto che si è sviluppato molto prima che la saga delle avventure dell’anatomopatologa Kay Scarpetta avesse inizio. Come mi ha confessato lei stessa al telefono qualche anno fa: “Da bambina leggevo soprattutto favole. Avventure ricche di magia e immaginazione come quelle dei fratelli Grimm, dove magari veniva messo al centro il tema del male e della violenza attraverso le figure di terribili streghe ma che regalavano al contempo stupore, evasione e fantasia a una bimba come me. In molti di quei racconti era sicuramente forte l’elemento della suspense. E ho cominciato presto anche ad appassionarmi a libri non di fiction ma che parlavano di archeologia. Mi divertivo a leggere le ricostruzioni della scoperta di Troia e di altri siti antichi di quel tipo. Le scienze forensi curiosamente sono molto vicine all’archeologia e ne hanno preso a modello il sistema di ricerca. Gli anatomopatologi ricostruiscono l’identità di un cadavere, la sua provenienza così come gli archeologi individuano un terreno e analizzano i resti di un’antica civiltà”.
D’altra parte per scrivere certe storie, per parlare di certi delitti non si può prescindere, oltre che dai caratteri umani, anche dai luoghi in cui certi eventi tragici possono avere luogo. Me lo spiegò molto chiaramente P.D. James mentre chiacchieravamo insieme in un caffè di Mantova. I paesaggi sono fondamentali per dare atmosfera e carattere ai romanzi di suspense: “I luoghi fanno parte della mia immaginazione creativa. Ogni volta ne scelgo uno speciale per le mie storie e mi dico: ‘Ecco dove è successo tutto’. Le mie storie partono proprio da lì… Molti dei miei libri sono ambientati sulle coste orientali dell’Inghilterra, coste piatte, ricche di canneti, di paludi e di uccelli. Cieli a perdita d’occhio. Credo che vi prevalga un senso di solitudine e anche un po’ di desolazione. Qui ci sono anche molte splendide chiese antiche e delle abbazie in rovina. Si tratta di un’area dell’Inghilterra che è estremamente romantica, forse non tanto bella agli occhi di qualcuno, ma per la sottoscritta vi regna un’atmosfera che si sposa benissimo con la letteratura di genere”.
Per le autrici “nere”, insomma, un’idea di delitto è anche un’idea di mondo. E spesso un’idea di femminilità. Rassicurante? No. Ma spaventosamente interessante.
Quello che c’è da sapere sull’antologia curata da Crovi e sulle autrici dei racconti
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Fonte: www.illibraio.it