"Ecco un folle senza Dio che insegue il folle di Dio fino alla fine del mondo...". Nel suo nuovo libro, "Il folle di Dio alla fine del mondo", uno scrittore ateo e anticlericale come Javier Cercas incontra Papa Francesco, in cerca di risposte a domande come: esiste la vita dopo la morte?
“Ecco un folle senza Dio che insegue il folle di Dio fino alla fine del mondo“.
Da questo attacco folgorante prende avvio un libro unico, che nessuno finora aveva avuto l’opportunità di scrivere. Il “folle senza Dio” è uno scrittore ateo e anticlericale, che si definisce laicista militante, mosso dal desiderio di parlare a tu per tu con Papa Francesco, il “folle di Dio“, come amava definirsi anche il santo di cui ha scelto il nome.
Ma oltre che unico, perché mai il Vaticano aveva aperto le sue porte a uno scrittore con tanta generosità, Il folle di Dio alla fine del mondo (Guanda, traduzione di Bruno Arpaia) di Javier Cercas è un libro profondo, il racconto personale che scaturisce dalla penna di un grande autore contemporaneo: “quasi un thriller su quello che è il più antico mistero della storia dell’umanità”, per l’autore di Soldati di Salamina (Premio Grinzane Cavour 2003), anche membro della Real Academia Española.
È vero che esiste la vita dopo la morte? Nella forma narrativa che lo ha reso celebre, quella del “romanzo senza finzione”, Cercas (nato nel 1962 a Ibahernando, Cáceres, e tradotto in più di trenta lingue) cerca una risposta alla domanda che nessuno può fare a meno di porsi, fondendo in queste pagine le sue più intime ossessioni con una delle preoccupazioni fondamentali della società contemporanea: il ruolo della spiritualità e della trascendenza nella vita umana, che inevitabilmente si confronta con la religione e con il desiderio di immortalità.
Un libro nato due anni fa, ad agosto, quando Cercas viene invitato a seguire Bergoglio nella visita del Papa in Mongolia, con la possibilità di scriverne liberamente.
Intervistato da Repubblica, lo scrittore ha parlato così del pontefice: “(…) Non ha mai fatto niente per nascondere la sua insofferenza alla papalatria, al culto della personalità che fatalmente circonda la sua persona. Un’idealizzazione che lui vive come un’aggressione, un atto quasi offensivo, perché il Papa non è superman, ma un uomo come tutti gli altri”.
E ancora: “(…) Bergoglio è ancora un uomo in lotta con sé stesso: contro il proprio carattere, contro le proprie debolezze, contro i propri demoni. Per questo le prime parole pronunciate nella Cappella Sistina dopo la sua elezione sono state: ‘Anche se sono un grande peccatore’. Ma è questo a renderlo davvero un cristiano seduto sul trono di Pietro: perché la Chiesa è quella dei peccatori e non dei virtuosi, dei deboli e non dei forti. Non è stato il fondatore della Chiesa a tradire Cristo per ben tre volte?“.
Fonte: www.illibraio.it