"I vestiti degli altri", esordio narrativo di Calla Henkel, scrittrice, drammaturga, regista e artista americana, è chiassoso e colorato come un luna park, e la sua struttura centrale è un labirinto degli specchi, in cui oggetti e soggetti si mescolano continuamente, litigandosi il potere di raccontare...
La frase attribuita a Andy Warhol sul quarto d’ora di celebrità che prima o poi tocca a chiunque potrebbe benissimo essere un mantra per Hadley Mader, una delle protagoniste di I vestiti degli altri, esordio di Calla Henkel, uscito per Guanda nella traduzione di Stefania De Franco.
Hadley ama tutto ciò che è pop: non solo Andy Warhol, ma Britney Spears, Perez Hilton.
È un’artista concettuale, ma in cosa consista precisamente il suo lavoro è qualcosa che sfugge alla sua coinquilina Zoe, voce narrante del romanzo; Zoe per parte sua fa collage. Ritaglia, riassembla e poi brucia: la sua arte non è permanente e, si vedrà, la sua stessa personalità sembra faticare a trovare un appiglio solido.
Calla Henkel è a sua volta un’artista e performer: insieme a Max Pitegoff ha diretto alcune opere teatrali, nonché prodotto diversi episodi di una particolare serie, girata nel TVBar, locale che i due gestiscono nel cuore di Schöneberg, Berlino.
È a Berlino infatti che approdano Hadley e Zoe, per l’anno all’estero previsto dalla loro accademia di New York. Non si sono mai frequentate prima, ma per comodità cercano una casa insieme, e la trovano nell’appartamento di Beatrice Becks, autrice di una serie di romanzi truculenti.
Mentre cercano di navigare la scena artistica berlinese, tra ingressi negati al Berghain e feste esclusive sul retro delle gallerie, le due diventano man mano amiche: Zoe, che sta affrontando il lutto per la morte violenta della propria migliore amica, è sempre più intrigata, e talvolta irritata, dalla sicurezza con cui Hadley si muove nel mondo e dal suo bisogno di performare sempre.
Per Hadley è la vita stessa che deve essere un’opera d’arte: la sua passione per il gossip e per il caso di Amanda Knox – più o meno contemporaneo agli anni in cui è narrata la storia – è uno dei tanti veicoli tramite cui sfogare la curiosità per il privato, per l’intimità che diventa esibizione, e questo vale in entrambe le direzioni, che siano gli altri a rivelarsi a lei o lei agli altri.
Zoe, dal canto suo, riesce solo ad abitare la pelle delle altre: Ivy, la migliore amica di cui frequenta l’ex fidanzato, di cui indossa i vestiti e imita il colore di capelli, o la stessa Hadley, anche lei fonte di ispirazione con il suo guardaroba. Nello scivolare continuamente in panni che non sono suoi Zoe mette a tacere ogni questione urgente su se stessa: non solo il senso di colpa che le deriva dal lutto la immobilizza, ma la sua intera storia sembra sospesa. La riscoperta di sé, della propria sessualità, dei propri obiettivi pare procedere solo in antagonismo a Hadley, perché quando le cose vanno bene la tentazione di essere lei è troppo forte.
I vestiti degli altri è chiassoso e colorato come un luna park, e la sua struttura centrale è un labirinto degli specchi: Hadley e Zoe si rimbalzano continuamente le loro immagini, l’una con l’altra, finché il gioco di identificazione e opposizione non diventa sempre più grande, e non si profila la possibilità di governare la propria storia, restituendo ancora una nuova fotografia all’esterno. Oggetti e soggetti si mescolano continuamente, litigandosi il potere di raccontare.
La Berlino dei primi anni 2000 è in una fase di transizione: il romanzo si muove dai capannoni di Kreuzberg ai palazzi eleganti nel Mitte, che si sta gentrificando. Le due ragazze vivono a Schöneberg – lo stesso quartiere in cui Henkel gestisce il suo locale – in un edificio dell’anteguerra. Non è ancora la Berlino in mano alle società di consulenza che immagina, senza troppo discostarsi dalla realtà, Elvia Wilk in Oval (Zona42, traduzione di Chiara Reali), ma è già la città lanciata verso una crescita incomprensibile, dove ognuno si aspetta di trovare un posto ma può finire per perdersi senza rendersene conto. Tra una festa e l’altra Hadley e Zoe incontrano una costellazione di figure paradigmatiche: artisti, musicisti, studentesse di psicologia che si chiamano fuori dalla gara alla narrazione per limitarsi a studiarla.
Chi osserva davvero, in questo romanzo? Zoe ricostruisce la vicenda, ma le mancano numerosi elementi; Hadley la recita, e mantiene apparentemente il controllo, fino alle estreme conseguenze; Beatrice, da qualche parte in Europa, scrive. E poi c’è il lettore, che si orienta tra queste continue rifrazioni, completamente inghiottito dalla notte berlinese. La costruzione di un’identità femminile è una faccenda complessa che nel libro di Henkel procede per contrasti e confronti: su tutto, si allunga però un’ombra minacciosa, vecchia come l’uomo.
Fonte: www.illibraio.it