“I rondoni”: la preghiera laica di Aramburu è un romanzo politico e sentimentale

di Francesca Cingoli | 21.10.2021

Dopo l'acclamato bestseller "Patria", Fernando Aramburu (vincitore del Premio Strega Europeo nel 2018) torna con un nuovo romanzo: "I rondoni", un libro che racconta la ricerca di tragedia con sincerità sfacciata, e finisce per offrire al lettore un dono inaspettatamente dolce di speranza e di morale, quelle di cui può rivestirsi un uomo altrimenti indifeso, che si destreggia come può in un mondo convulso e senza certezze. Si fugge dal nichilismo per trovare una mano tesa nell’amicizia, con la semplicità e la precarietà di una redenzione terrena e laica


“Per il tipo di vita che hanno fatto persone come papà o come me, cinquant’anni mi sembrano sufficienti. Ciò che fino ad allora la vita non ti ha dato è molto improbabile che te lo dia dai cinquanta in avanti”.

Dopo la coralità potente di Patria (Guanda, traduzione di Bruno Arpaia), Fernando Aramburu racconta il nostro tempo attraverso la solitudine e la resa di un individuo qualunque. I rondoni (Guanda, traduzione sempre di Bruno Arpaia) è il diario di un commiato di un uomo da se stesso.

Copertina del libro I rondoni di Fernando Aramburu

Toni è un insegnante di filosofia, vive solo, anzi milita proprio nel PPSS, Partito di chi Preferisce Stare Solo: è un individuo cresciuto nelle difficoltà, abituato a stare sulla difensiva, impassibile di fronte al contatto e ai sentimenti umani, poco incline ad aprirsi con gli altri. Un uomo senza qualità che piacerebbe a Musil.

Arrivato a cinquantacinque anni, Toni matura un piano: si suiciderà, da lì a un anno. Il 31 luglio 2019 è la data scelta. Ma lo fa senza drammi, senza retorica, con una serenità quasi divertita dalla sua stessa amarezza, e dall’irragionevolezza del mondo.

C’è soltanto un problema filosofico davvero serio: il suicidio“, scriveva Albert Camus, e su quello si concentra Toni, che, da uomo meticoloso, concepisce una precisa e organizzata liturgia del suo congedo dalla vita: decide di alleggerirsi, di cose e di emozioni, butta, seminando i pezzi, come una zavorra, mollata un poco alla volta. La sua è una morte programmatica con laconica freddezza.

L’APPUNTAMENTO CON LIBLIVE – Il 18 ottobre alle ore 18:30, sulla pagina Facebook de ilLibraio.it, Fernando Aramburu presenta I rondoni con Nadia Terranova

Giorno dopo giorno, mese dopo mese, Toni si avvicina all’ora della sua ultima boccata di ossigeno abbandonando sul percorso i pesi che lo trattengono, svuotando la sua biblioteca, lasciando libri e oggetti sulle panchine e negli androni dei palazzi. Guardando in alto, i rondoni sono il suo ideale: uccelli laboriosi che volano senza pause, senza mai posarsi, senza tormenti esistenziali, senza l’obbligo di dover parlare con qualcuno, senza fede, con la sicurezza di poter morire quando tocca. Eternamente liberi, eternamente in aria.

Primo piano di Fernando Aramburu
Fernando Aramburu, © Ivan Giménez – Tusquets Editores

Consapevole di non aver mai conosciuto nessuno in profondità, Toni affronta la sua storia in una sorta di cronaca personale alla quale si dedica, ogni sera, scrivendo ricordi, aneddoti, pensieri. Anche questa ritualità è un lasciare andare zavorre, raccontandole a se stesso.

Ha un matrimonio finito male, un figlio limitato e fuori binario, che si è tatuato una svastica sulla schiena e una foglia sulla fronte, un amico sguaiato e macho che ha perso un piede nell’attentato di Atocha, una ex assillante. Alle spalle Toni ha una famiglia disfunzionale, improntata al patriarcato, un padre manesco, una madre che sputava nella zuppa del marito, un fratello odiato.

Toni vive con il cane Pepa, in una quotidianità senza stravaganze: sembra un quadro feroce di un uomo disincantato e senza speranze. In realtà Toni è solo un uomo pianura, la sua esistenza non ha peripezie. Ma la rievocazione della sua vita ha una leggerezza insolita, a tratti ironica: riesaminare gli episodi del passato vuol dire svuotarli di peso, renderli vapore, farli passare nella propria testa e sulla carta avvolgendoli di ironia.

Ci sono lettere d’amore nella cronaca personale del protagonista, e sono scritte al suo cane Pepa e alla sua bambola gonfiabile Tina. Sono pagine di una tenerezza inaspettata, fessure improvvise di felicità, accanto alle quali l’idea stessa di una relazione vera, per Toni, incapace di amare, è panico o fatica.
Non si salva nessuno da questa analisi in forma di diario, non si salva lui, che niente era e niente è rimasto. La verità è che non ha risposte a nulla.

I rondoni di Fernando Aramburu è un mosaico mescolato, con immagini che si sovrappongono, si calpestano le une con le altre, sono montagne russe di episodi, emozioni, mappe multiformi di personaggi che appaiono per essere protagonisti di un giro, e poi ritornare sempre a quella data impressa come una promessa: un conto alla rovescia della vita, dove non si saldano i conti, non si chiudono i cerchi, non si perdona, non si è assolti. Si passano in rassegna i fatti, belli, brutti, insignificanti, per lo più. Si lascia andare la vita, che passa e ha poco da offrire, vano darle troppa importanza. E quindi, fine, può bastare così, si può scendere.

“Se mi fa male rivivere questi ricordi? Cazzo, mi fa malissimo, ma allo stesso tempo ho bisogno di tirare fuori tutta la sporcizia accumulata dentro di me. Non voglio che mi ci seppelliscano, voglio essere in pace con me stesso e sentirmi pulito dentro nei miei ultimi istanti”.

In pace, in volo, come un rondone, senza pesi, senza libri, senza fruttiere. Quella di Toni è una preghiera laica: lasciatemi in pace. Una sincerità spiazzante, e consapevole: siamo solo corpi, con i giorni contati. E allora vale la pena credere in poche cose, quotidiane e visibili.

Stanco delle emozioni intense, indifferente all’amore, Toni è un Étranger che come Meursault trova nella sua esistenza ritirata, orfana di sensazioni e impassibile, una forma di leggerezza, l’agognata ascesa nell’aria: è un Toni rondone, che cerca pace e nient’altro che pace. Il computo finale del suo diario è soddisfacente: i piccoli momenti di felicità compensano quelli amari. Alla fine, ci si rassegna alla propria biografia come ai propri lineamenti allo specchio.

Liberato dal sentimento tragico dell’esistenza, dall’oppressione di dover trovare un significato, senza legami, di idee e di oggetti, Toni è pacificato proprio quando decide di mettere fine alla sua vita.

Pur nella costellazione umana che compone I rondoni, la scelta di Fernando Aramburu di concentrarsi su un protagonista unico è un modo per parlare di tutta un’umanità disorientata: non è un caso che l’altro personaggio centrale del romanzo sia Madrid, bloccata dalla paura della violenza, lacerata dal malessere delle separazioni politiche, tra i comizi di La Vox, l’ascesa dell’indipendenza catalana, le elezioni, sprazzi di nostalgia franchista. Toni vota a casaccio, senza ideologia o impegno, scettico e sarcastico verso la classe politica, consapevole che alla fine solo i deboli governano. In questo contesto, nella realtà del barrio de La Guindalera, i conflitti della grande città sono lo scenario perfetto per una storia di autenticità e individualità, nella quale siamo tutti soli, alle prese con noi stessi.

I rondoni è un libro che racconta la ricerca di tragedia con sincerità sfacciata, e finisce per offrire al lettore un dono inaspettatamente dolce di speranza e di morale, quelle di cui può rivestirsi un uomo altrimenti indifeso, che si destreggia come può in un mondo convulso e senza certezze. Si fugge dal nichilismo per trovare una mano tesa nell’amicizia, con la semplicità e la precarietà di una redenzione terrena e laica.

È come montare sulla giostra e ogni giro è un anno. Fai i giri che ti toccano. A me ne sono toccati cinquantacinque. Potrei continuare ancora un po’; ma sono stanco. Peggio ancora: stufo. Giunta l’ora di lasciare la giostra, scendi, e un altro, nato in seguito, occupa il posto vacante. Se ti sei divertito, congratulazioni; se no, ti fotti“.

Fonte: www.illibraio.it


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