Dal 1988 Luigi Brioschi è direttore editoriale di un marchio di riferimento nell'editoria letteraria, Guanda, e ne assume la presidenza nel 1999. L'editore si racconta a tutto campo con ilLibraio.it, svela come ha scoperto autori come Foer, Sepúlveda e Welsh, parla dei libri in arrivo nel 2017 (compresa la nuova collana di poesia), delle tendenze che vede delinearsi nel romanzo contemporaneo, e anche di rimpianti ("Un libro che mi è spiaciuto perdere è The Corrections di Jonathan Franzen..."). Spazio per la nuova fiera Tempo di libri: "Se si decide di affidare la guida del programma a Chiara Valerio, non credo si voglia trascurare la produzione letteraria. Semmai il contrario" - L'intervista
Luigi Brioschi ha alle spalle un lungo percorso nel mondo dei libri. Dopo 15 anni in Rizzoli (dove inizia da editor per approdare alla direzione letteraria) è stato consulente della Longanesi (per poi diventarne direttore editoriale e consigliere d’amministrazione dal 1999 al 2011).
Dal 1988 è direttore editoriale di Guanda, e ne assume la presidenza nel 1999. Un marchio di riferimento nell’editoria letteraria, che nel suo catalogo, tra gli altri, ospita autori come John Banville, William Trevor, Anne Tyler, Aharon Appelfeld, Arundhati Roy, Jhumpa Lahiri, Anita Nair, Roddy Doyle, Irvine Welsh, Nick Hornby, Catherine Dunne, André Aciman, Jonathan Safran Foer, Gary Shteyngart, Nicole Krauss, Luis Sepúlveda, Javier Cercas, Almudena Grandes, Peter Handke, Alain De Botton.
Come è cominciata la storia della “nuova” Guanda, 30 anni fa?
“Il nuovo corso comincia nell’86, quando Luciano Mauri e Mario Spagnol decisero di rilevare la Guanda. Io fui nominato a fine ‘87. Guanda era un marchio glorioso, con una forte identità letteraria, ma aveva visto piuttosto ridursi quello che è il patrimonio di una casa editrice, gli autori. Fu dunque davvero un nuovo inizio. E la scoperta del nuovo, che per un editore letterario e di ricerca dovrebbe essere una pratica naturale, fu vissuta come una drammatica necessità. La politica degli autori seguita in questi anni credo sia stata segnata, entro una cornice di qualità delle scelte, da alcuni tratti. Uno di questi è il fatto che buona parte degli autori sono stati colti all’esordio, o ai primi passi”.
Può fare degli esempi?
“Da Jonathan Safran Foer a Gary Shteyngart, da Luis Sepúlveda ad Almudena Grandes, da Adam Thirlwell ad Alain De Botton, da Arundhati Roy a Nicole Krauss. Per non dire degli autori italiani… E sono state normalmente acquisizioni fatte con un progetto di investimento sull’autore. Ed anche, direi, con la consapevolezza dell’importanza che possono avere in editoria il favore del caso e i percorsi irrituali. Le occasioni si sono colte anche al di fuori dei rapporti consolidati e delle strade abituali”.
Quali nomi le vengono in mente?
“Sepúlveda fu scoperto leggendo un settimanale francese, L’Express; Almudena Grandes fu suggerita da un’amica spagnola, James Salter da un amico francese. In Welsh (che era già un bestseller in Gran Bretagna e nessun editore italiano se ne curava) mi imbattei cercando senza successo di vedere, a Londra, la pièce che era stata tratta da Trainspotting. L’attenzione al nuovo, alle esperienze innovative, il forte e costante investimento sull’autore, una certa autonomia rispetto ai canoni. Queste sono tre delle caratteristiche, mi sembra, che definiscono uno stile”.
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Quella che si sta per chiudere è stata una buona annata per i romanzi letterari, e la Guanda è stata protagonista, con Eccomi, che ha segnato il ritorno al romanzo di Jonathan Safran Foer, tra l’altro appena premiato dalla giuria de La Lettura come “libro dell’anno”. Si aspettava questo apprezzamento da parte dei lettori e della critica?
“Lo speravo. E lo faceva sperare, oltre alle evidenti qualità del romanzo, l’eccellente rapporto che Foer ha con i lettori italiani: sia Ogni cosa è illuminata che Molto forte, incredibilmente vicino sono stati dei bestseller. Ma il successo è andato anche oltre le attese. E ora, il riconoscimento che la giuria della Lettura gli consegna si può leggere, mi sembra, come una consacrazione”.
Lei è stato tra i primi a credere in Foer, ed è nota la sua conoscenza del mondo letterario americano e inglese: di recente ha letto giovani voci che l’hanno colpita?
“Sì, fummo i primi a credere in lui, i primi ad acquisire il libro, e la lettera che allora gli mandai, dopo aver letto il manoscritto di Ogni cosa è illuminata, credo dicesse bene quanto il libro ci avesse colpito e convinto. Nuove voci? C’è un nuovo, giovane narratore americano che molto mi ha colpito: Ryan Gattis, l’autore di Giorni di fuoco. Per l’energia, la fisicità unita alla forza visionaria, la verve linguistica, la capacità di far saltare ogni convenzione narrativa. C’è in lui qualcosa che mi ricorda, al di là delle evidenti differenze, l’Irvine Welsh di Trainspotting, che vent’anni fa scoprimmo e acquistammo, facilitati dalla totale assenza di concorrenza. E poi un debuttante che pubblicheremo nel 2017: Omar Hamilton, che ha scritto il romanzo della primavera araba dandogli forme e prospettive davvero sorprendenti. Si intitolerà La città vince sempre”.
Quali tendenze vede delinearsi nei romanzi letterari contemporanei?
“Quella che mi sembra inizi ad affermarsi è la forma di romanzo che Javier Cercas chiama la novela sin ficción, e di cui ha dato esempi davvero straordinari. In fondo, si potrebbe dire che anche questo asseconda una vocazione del romanzo, che è un genere duttile, flessibile, e soprattutto predatore: ha mostrato la sua vitalità appropriandosi appunto di altre tecniche, di altri linguaggi, approvvigionandosi presso altre forme espressive. Suggerirei di verificare questa tendenza alla appropriazione e alla contaminazione su un libro alquanto singolare, che abbiamo pubblicato di recente: Il dolore è una cosa con le piume, dell’esordiente Max Porter”.
Quali saranno i libri di punta della sua casa editrice nel corso del 2017?
“Un libro che costituisce, davvero, un grande ritorno: Il ministero della perfetta felicita, il nuovo romanzo, molto atteso, di Arundhati Roy, a vent’anni dal successo internazionale del Dio delle piccole cose. Il sovrano delle ombre di Javier Cercas, che riaffronta la tematica dell’eroe, già presente in Soldati di Salamina, e insieme interroga le tragedie del ‘900; Patria, del basco Fernando Aramburu, che ha conquistato, quest’anno, lettori e critica in Spagna; le schermaglie, molto fini, di John Banville con la poetica dei sentimenti (La chitarra blu, un libro che ricorda Il mare, vincitore di un Booker Prize); un romanzo di Elsa Osorio, che riaccosta in prospettiva tutta mutata la fase storica della dittatura argentina, cui aveva dedicato il libro d’esordio, I vent’anni di Luz; infine, ma non da meno, il romanzo di Roddy Doyle: si richiama in qualche modo a Paddy Clarke, a quel mondo, ma con un impressionante scarto inventivo”.
In casa Guanda sono in programma nuove iniziative editoriali?
“A gennaio esordisce una collana di poesia, che si aprirà a titoli nuovi e insieme si alimenterà a uno dei più rilevanti cataloghi di poesia moderna e contemporanea, quello guandiano appunto. Tra i primi titoli pubblicati, opere di Séamus Heaney, Pablo Neruda, Federico García Lorca, Jacques Prévert, Thomas Bernhard, Charles Bukowski, Adonis, Yves Bonnefoy, Pier Paolo Pasolini”.
Nel suo mestiere capita di non riuscire a pubblicare un libro a cui si teneva: qual è il suo più grande rimpianto, da editore?
“Un libro che mi è spiaciuto perdere è The Corrections di Jonathan Franzen. Offrimmo, senza riuscire a farlo nostro”.
Dopo mesi di polemiche, nella primavera del 2017 ci saranno due fiere del libro in Italia: il Salone di Torino e Tempo di libri a Milano. Lei fa parte del Comitato Scientifico della nuova manifestazione voluta dall’Aie: come procede il progetto? L’editoria letteraria sarà ben rappresentata nella fiera milanese, visto che c’è chi ha manifestato timori in questo senso?
“Il progetto procede molto bene, mi sembra, con determinazione e con una forte carica propositiva. Se si decide di affidare la guida del programma a Chiara Valerio, è difficile pensare che si voglia trascurare l’editoria letteraria e la produzione letteraria. Semmai il contrario”.
Lo scorso anno Guanda ha pubblicato La Musa, l’esordio nel romanzo di Jonathan Galassi, grande editore letterario americano. Anche lei ha un romanzo nel cassetto, magari proprio ambientato nel mondo dei libri?
“No, non credo. Il caso di Jonathan è diverso. Lui, prima di pubblicare un romanzo, era già scrittore, e poeta. E poi, mi sorprendo io stesso nel vedere quanto la casa editrice mi assorbe”.
Fonte: www.illibraio.it