“Cose che si portano in viaggio” da Est a Ovest

di Désirée Favero | 22.02.2020

Tedesca. Spagnola. Comunista. Dell'Est. Sovietica. Katia è molte cose, è stata molte cose e non sarà mai alcune di queste. Prima di tutto, però, è figlia, sorella e madre. "Cose che si portano in viaggio" è l'appassionante esordio narrativo di Aroa Moreno Durán, e segue la continua ricerca di casa da parte di una ragazza profondamente sradicata, che decide di passare una frontiera senza più possibilità di ritorno... - L'approfondimento


Che cosa portereste in viaggio se doveste superare il confine sovietico in piena notte, su di un auto guidata da uno sconosciuto, con un’identità falsa mentre rischiate la vostra vita e quella delle persone a voi care?

Katia, nel novembre 1971, portava con sé una stilografica in nichel, il berretto russo di sua madre, il distintivo del PCE (Partito Comunista di Spagna) appartenuto a suo padre e una mela. Quest’ultima serviva come segnale di riconoscimento, per quell’uomo che l’avrebbe portata al di là del muro. Al di là della DDR, al di là del Festival Mondiale della Gioventù e degli Studenti, al di là di quello che era stato il nazismo, il franchismo e la guerra civile combattuta dai suoi genitori.

L’avrebbe portata da Johannes, il misterioso ragazzo della Germania occidentale che sfidava il muro per vederla ogni qual volta gli era possibile. “Poechali, mi dissi, ‘si parte’, come Jurij Gagarin quando salì a bordo del Vostok 1. E proprio come l’astronauta, quando me ne andai, non potevo immaginare che non avrei trovato Dio dall’altra parte“. Ciò che stava lasciando, insieme alla politica, all’idealismo, era la sua famiglia, la sua terra, la sua intera vita.

“Trent’anni dopo la caduta del muro di Berlino esistono nel mondo più di quindici muri con cui si cerca di impedire in modo violento il libero flusso delle persone”.

Si può tranquillamente rivelare l’ultima pagina di Cose che si portano in viaggio (Guanda, traduzione di Roberta Bovaia), di Aroa Moreno Durán, senza riuscire a liberare il lettore da quel tuffo al cuore che avrà una volta arrivato a quel punto. Quello di Katia, la giovane protagonista figlia di un comunista spagnolo esiliato, è un racconto che appartiene a tutti i perdenti della Storia, che trascende dal sentimento politico, dalle ideologie e dal nazionalismo, per legarsi alla vita privata e agli affetti. È la nostra testimonianza, quella dei nostri genitori o dei nostri nonni e di molti altri che ancora oggi sono da una parte o l’altra di quei quindici muri.

L’autrice ha ideato la protagonista dopo una lunga ricerca arrivata fino a Berlino: qui, le figlie di due esiliati spagnoli hanno aiutato a delineare Katia con le loro testimonianze, approfondendo i fatti relativi alla Germania dell’Est direttamente dagli archivi della Stasi (servizio d’intelligence della DDR).

Lo sradicamento personale e politico è il punto cruciale che porta la ragazza a prendere scelte sbagliate. Come racconta la stessa Moreno a El cultural, “la protagonista soffre un profondo sradicamento, perché è tedesca, educata all’ideologia sovietica e figlia di una famiglia con usi e costumi spagnoli”.

Cose che si portano in viaggio è una continua ricerca di casa, del luogo in cui ci si può sentire adeguati e liberi, ma che non per forza si trova dall’altra parte di qualcosa. La scelta di Katia è un tradimento per la famiglia, per la Storia e per il Paese. Ma, allo stesso tempo, è una condanna: senza identità, senza passato e con un futuro senza ritorno. Un intreccio tra la vita dei cittadini e la Storia della società, che ha segnato diversi destini nel 1989 con la caduta del muro e che, a oggi, come ci ricorda Moreno, continua a segnarli.

Moreno scrive come avesse a disposizione delle diapositive parlanti della Storia, in cui anno dopo anno il destino della protagonista e dell’Europa si evolve pian piano: “Anche se c’è una certa sensibilità poetica nella mia scrittura, non volevo costruire una trama frammentata, ma un racconto concreto e chiaro fin dal suo principio”, afferma ancora l’autrice, dopo la vittoria del Premio El Ojo Crítico de Narrativa nel 2017. Nonostante sia un esordio nella narrativa (precedentemente ha pubblicato due raccolte di poesie e le biografie di Frida Kahlo e Federico García Lorca) non manca di far affezionare né di far immedesimare pagina dopo pagina.

“Lui sapeva quello che sanno i ponti: uniscono
sull’acqua quello che sotto l’acqua
è già unito.
Ma una sponda era palude,
e l’altra fuoco” – Reiner Kunze

Fonte: www.illibraio.it


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