“Cibo” di Helena Janeczek: una storia che racconta chi siamo

di Jolanda Di Virgilio | 13.04.2019

Torna in libreria "Cibo" di Helena Janeczek, vincitrice del Premio Strega 2018 con “La ragazza con la Leica” - L'approfondimento


Esiste una vasta letteratura che affronta i disturbi alimentari. E anche quando il tema non è il centro della narrazione, spesso è presente almeno un personaggio che ha un rapporto problematico con il cibo. Non mangia, o mangia troppo, o mangia e poi vomita. Le condotte sono tante, ognuna a modo proprio diversa, come è diversa la storia di chi la vive.

Ci sono però delle costanti in questo tipo di racconti: l’ossessione verso il corpo, la smania di intraprendere di continuo diete fallimentari, un lessico che ritorna con espressioni come “sgarro”, “regime”, “senso di colpa“.

Le ripete in modo martellante Helena Janeczek, vincitrice del Premio Strega 2018 con La ragazza con la Leica, nel romanzo Cibo, la cui prima edizione risale al 2002, e che torna adesso in libreria per Guanda.

Il titolo – freddo, diretto, essenziale – enuncia immediatamente l’argomento e presenta al lettore il vero protagonista del libro. Infatti, nonostante la trama ripercorra la vicenda di una donna che ha deciso, per l’ennesima volta, di provare a perdere peso, è proprio il cibo a occupare la maggior parte delle pagine del romanzo.

Prima di tutto perché in questa storia il cibo non è solamente un nemico da sconfiggere, una tentazione da allontanare, una massa grassa da eliminare; ma è uno strumento di racconto, il filo rosso attraverso cui la protagonista rievoca gli eventi della sua vita.

È come se fosse una lente attraverso cui guardare il mondo. Chi racconta ammette spesso di fare fatica a ricordare i dettagli del suo passato, ma non c’è nessuna esitazione a elencare con precisione maniacale gli odori, l’aspetto e il gusto di tutte le pietanze assaggiate. A ogni persona, a ogni episodio, è associato un cibo particolare.

Del padre, per esempio, la protagonista ricorda le colazioni a base di pane e aglio. Delle compagne di scuola ricorda quello che ha mangiato a casa loro (da Sabine il cous – cous, alla festa di Ulrike Seitz la crema di piselli con i würstel). Delle giornate trascorse da sola dopo le lezioni, ricorda i wafer al cioccolato grandi come fette di torta. Si intuisce la sua identità nel mondo in cui registra gli ingredienti di alcune ricette, o descrive lo spessore della sfoglia di uno strudel.

Questo lungo elenco minuzioso si rivela in realtà la chiave di lettura del racconto perché, proprio attraverso il cibo, si scopre il carattere dei personaggi. Non solo quello di chi racconta, ma anche di tutte le altre figure che appaiono nel romanzo, anche solo di sfuggita. Tra queste, Daniela, l’amichevole estetista che aiuta la protagonista a dimagrire con massaggi drenanti e consigli su come gestire gli attacchi di fame nervosa. Anche Daniela ha problemi con il cibo: è “bulemica” e “magna” quello che non dovrebbe. Per questo prende a cuore chi, come lei, trascorre la vita a ingrassare, poi fare diete, poi ingrassare di nuovo e così via.

Ma il cibo non è soltanto indicatore del carattere di un individuo, bensì anche della sua apparenza culturale. E questo è un dettaglio non da poco, perché la storia della protagonista si estende in una geografia molto ampia, che va da Monaco a Praga, da Milano alla New York delle Twin Towers, e che si arricchisce di analisi che si spingono oltre la trama, ricostruendo le tradizioni e la storia dei territori attraversati.

Fonte: www.illibraio.it


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