Amore, morte e Philippe Besson

di Oriana Mascali | 12.07.2019

“Un certo Paul Darrigrand” di Philippe Besson, l’autore francese di “Non mentirmi”, è la parabola di un grande amore finito male e il resoconto di un anno in cui lo scrittore ha fatto letteralmente i conti con la morte. È difficile non immedesimarsi in una passione così travolgente, nel lirismo a tratti estremizzato, che è la traduzione letteraria dell’incapacità di controllare il sentimento e allo stesso tempo di esprimerlo… - L'approfondimento


Con Un certo Paul Darrigrand, ultimo romanzo appena pubblicato in Italia da Guanda (traduzione di Marcella Uberti Bona), Philippe Besson aggiunge un altro tassello lungo un anno nella frammentata autobiografia che il corpus delle sue opere non si sforza di dissimulare ma, al contrario, enfatizza in un continuo gioco di rimandi e autocitazioni.

I lettori non tarderanno a riconoscere un meccanismo narrativo già collaudato: in questo caso è una foto datata dicembre 1988 a fungere da madeleine proustiana, pretesto che accende la memoria e la scatena in tutto il suo doloroso potere evocatore. 

Il coinvolgimento è immediato ed esplicito: “[…] perché in fondo è abbastanza strana la resurrezione improvvisa, non premeditata, di ricordi perduti e di episodi sepolti della nostra vita; non è vero?”.  

Ed è subito Bordeaux, l’università, l’amore dopo Thomas Andrieu. Il riferimento alla tormentata storia d’amore omosessuale alla base di Non mentirmi (2017) è inevitabile: sia da un punto di vista prettamente cronologico – siamo negli anni immediatamente successivi – sia da quello tematico.

Andrieu non c’è più, ma al suo posto arriva proprio quel certo Paul Darrigrand, compagno di corso più grande e “felicemente” sposato, che con ostentata sicurezza rimettere in subbuglio l’esistenza dell’autore-narratore. Basta un incontro in corridoio, i passi seguenti li conosciamo tutti: l’accendersi del desiderio, la scoperta (rapidissima) dell’esistenza di una moglie, il dubbio di aver frainteso, fino all’inevitabile esplosione dei corpi con il suo strascico di clandestinità. 

Come accade per il romanzo precedente, è difficile non immedesimarsi in una passione così travolgente, nel lirismo (a tratti estremizzato, in pieno stile Besson) che è la traduzione letteraria dell’incapacità di controllare il sentimento e allo stesso tempo di esprimerlo. 

Besson, pur citando di continuo le altre opere in cui ha sparso pezzetti della sua esistenza, allo stesso tempo non nasconde la frustrazione di non poter “scrivere perfettamente”: “vorrei trovare le parole, le parole giuste, assolute, perché si sappia cosa provavo allora, ma non sono capace, non ci riesco, per me tutto ciò è inesprimibile, le parole dicono sempre così meno di quello che è stato; è la peggiore delle frustrazioni. No, questo non riesco a scriverlo. A scriverlo come dovrei”.

Eppure, scrive. Lo fa per mestiere, senz’altro, lo fa per la necessità di raccontare la sua storia, ma anche e soprattutto per ottenere una personale vittoria su una vita a tratti troppo prosaica: “Nel 2003 scriverò Un ragazzo italiano, la storia di un uomo combattuto tra la sua inappuntabile compagna e il suo giovane amante. Nel libro l’amore è diviso equamente, il protagonista ama ugualmente sia l’uno sia l’altra, anche se la compagna ha diritto ai momenti sociali e l’amante alla clandestinità. A volte si scrive per abbellire i ricordi. Nel romanzo, io sono un ragazzo bellissimo, provocante, carnale. Sì, davvero, la fiction serve a prendersi delle rivincite sulla realtà”.

Un certo Paul Darrigrand non è però solo la parabola di un grande amore finito male: è il resoconto di un anno in cui Besson ha fatto letteralmente i conti con la morte, con l’esordio di una terribile malattia alla milza che lo ha costretto a un lungo ricovero ospedaliero, debilitante e angosciante.

Lo stesso autore sembra interrogarsi sulla strana coincidenza cronologica dei due eventi, sottolineando la natura schizofrenica e paradossale dei mesi precedenti l’operazione, con Paul lontano a Parigi: “Da quel momento la mia esistenza si divide in due tempi ben distinti: il tempo sociale e il tempo medico. Durante il primo assisto alle lezioni, preparo il mio avvenire, bevo con la gente della mia età, mi dedico ai miei amori clandestini. Durante il secondo obbedisco a dei camici bianchi, tento di salvare il salvabile, frequento i morenti, sto sdraiato da solo in un’oscurità temperata dal candore abbagliante di un corridoio. Il giorno e la notte. I due tempi non sono in rapporto l’uno con l’altro. Io stesso sono due persone. Nel primo caso sono spensierato, innamorato. Nell’altro sono sottomesso, ansioso. Queste due persone non si conoscono. Non si parlano”.

L’intersecarsi di questi due contesti inconciliabili e delle due anime distinte che li animano genera le pagine di un romanzo che spinge inevitabilmente al confronto con Non mentirmi e con la spontaneità del primo amore con Thomas Andrieu, ma salda con una scrittura potente e fluida il legame tra Besson e i suoi ormai fedeli lettori.

Fonte: www.illibraio.it


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