Western in salsa padana

di Redazione Il Libraio | 24.07.2012

Intervista a Matteo Righetto autore di Savana padana ISBN:9788850229185


Savana padana è un noir ambientato in una landa sperduta del Nordest. L’azione si svolge a San Vito, un piccolo paese della provincia di Padova delimitato da due corsi d’acqua: il Brenta da una parte, il Piovego dall’altra. D’inverno il freddo gela il respiro, mentre d’estate una cappa di afa pende sugli abitanti di San Vito come una sentenza di morte. Chi vive in quella terra desolata ne eredita le caratteristiche: aridi sono gli animi delle persone che trascorrono le giornate al bar a discutere di calcio, prostitute, rapine e spaccio di droga. Bande locali, zingari e mafia cinese si spartiscono il potere e impongono la legge del più forte. Ma i fragili equilibri si spezzano improvvisamente quando un gruppo di zingari tenta un colpo nella casa sbagliata: quella del boss locale. Abbiamo intervistato l’autore.

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D. Cominciamo dal titolo. Che cosa significa Savana padana?

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R. Il titolo nasce dalla volontà di creare un parallelo tra la grande savana africana e il piccolo paese veneto dove viene ambientata la vicenda. Così come la savana africana è popolata da grandi predatori che si azzannano l’un l’altro per la sopravvivenza, allo stesso modo la savana padana è popolata da bande di criminali senza valori che si ammazzano come bestie in nome del denaro, dei “schèi”. La savana africana poi è dominata dal gran caldo, proprio come quella padana durante i giorni in cui si sviluppa la storia, quando in quella landa desolata e perduta del Veneto un’afa terribile sovrasta senza pietà uomini e cose.

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D. A San Vito tutta la vita sociale si svolge attorno al Bar Sport e al Bar Centrale. Malgrado la distanza spaziale e temporale, non crede che vi siano analogie tra i bar di San Vito e i saloon dei film western?

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R. Vi sono eccome e sono assolutamente volute. Il romanzo nasce proprio dalla volontà di raccontare una storia noir e criminale in chiave western. Era mia intenzione utilizzare vari “linguaggi” e varie cifre stilistiche narrative, in una sorta di crossover che comprendesse sì il genere noir, il crime, il grottesco, il pulp, ma nella quale tutti questi codici narrativi fossero legati tra loro da un filo rosso chiaramente western e, non dimentichiamolo, del tutto ironico e sarcastico.

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D. La maggior parte della “fauna” che popola la savana di San Vito è soggetta a una deformazione caricaturale. Emblematica è la figura del carabiniere Tommaso Fetente che ama soltanto tre cose nella vita: la Sambuca Molinari, le prostitute di colore e Padre Pio. Che cosa si cela dietro questa estremizzazione grottesca di personaggi e situazioni?

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R. Si cela la volontà di provocare, rompere gli schemi, andare oltre un certo modo di intendere la narrativa italiana, troppo spesso poco coraggiosa e per questo secondo me ripiegata su se stessa (lo dico da lettore). Il gusto di una sana provocazione credo ci stia tutto e sia utile a raccontare storie forti, che non lasciano mai indifferente il lettore. Credo infatti che la scrittura debba anche provocare, far discutere. Comunque mai lasciare indifferenti. Savana padana è chiaramente un romanzo dissacrante, ma va anche detto che al di là degli aspetti caricaturali dei suoi personaggi, al di là dell’uso dell’iperbole, al di là degli elementi grotteschi; be’, non è che certe realtà della provincia veneta siano molto lontane dalla mia rappresentazione letteraria.

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D. Il suo romanzo si segnala per l’assenza pressoché totale di personaggi femminili. Com’è giunto a questa scelta?

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R. A dir la verità uno dei rari personaggi femminili riveste anche un ruolo chiave, però è vero: nell’economia della storia le donne rivestono un ruolo di secondo piano. Ovviamente la mia non è di certo stata una scelta sessista, bensì una scelta dettata da un’esigenza artistica, volendo rappresentare un mondo becero e violento che spesso è appannaggio del sesso maschile, proprio come negli spaghetti western di Sergio Leone o di Peckinpah.

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D. La trama è costruita attorno a un regolamento di conti tra la malavita locale e gli zingari. Si ha però l’impressione che le esigenze del plot siano subordinate – nella sua gerarchia di valori letterari – alla rappresentazione di un ambiente e alla ricerca linguistica. È così?

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R. Gli zingari e i delinquenti locali ma, aggiungo, anche la mafia cinese in Italia. In ogni caso, rispondendo alla sua domanda dico: assolutamente sì, è verissimo. Mi piace raccontare il territorio e mi piace considerarlo addirittura il più importante tra i personaggi. Per me l’ambientazione di un romanzo non deve essere semplicemente una cornice entro la quale collocare i personaggi e le loro azioni. Io amo da un lato la natura e dall’altro le letterature e gli scrittori legati al territorio, qualsiasi esso sia, dal Texas di Lansdale e McCarthy, al Midwest di Woodrell, alla Puglia di Di Monopoli. Io sono veneto e volevo calare questa storia nella provincia e nella natura della mia regione. Adoro descrivere certi ambienti aspri e ruvidi al pari degli uomini che vi vivono.

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D. L’umanità abbruttita che affolla le pagine del suo romanzo crede nell’equazione zingari uguale ladri. Sante, uno dei delinquentelli locali, ritiene i neri “scimmie”. Qual è il suo rapporto con il “politicamente scorretto”? Quali licenze sono concesse a un autore noir?

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R. Mi piace provocare e mi piace giocare con i luoghi comuni. Voglio sottolineare però che nel romanzo è sempre sotteso un senso ironico e graffiante riguardo la lettura di una certa realtà. Credo che a ogni autore, non soltanto agli autori noir, debba essere concessa la licenza di dire tutto ciò che vuole, sennò che scrittore sarebbe? La letteratura per definizione deve inventare, creare, fingere, mentire. La narrativa è l’arte della finzione per eccellenza. Il vero, unico discrimine che deve essere considerato in un romanzo è legato alla qualità dell’opera e basta. Ogni autore deve rispondere a questo soltanto: se abbia fatto o meno un libro di valore. E sono convinto che questo lo debbano sempre decidere i lettori, certamente più dei critici. Se il tuo libro piace al pubblico, allora significa che hai fatto un buon lavoro. In questo mi sento molto “americano”.

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D. Un’ultima curiosità. Lei può vantare l’amicizia e la stima di un gigante della letteratura americana di genere, mi riferisco a Joe Lansdale. In quale circostanza vi siete conosciuti?

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R. Sono sempre stato un grande estimatore di Joe, che considero uno dei più grandi narratori americani degli ultimi decenni. Tre anni fa io e i ragazzi di “Sugarpulp”, il movimento letterario da me fondato, lo abbiamo invitato per la prima volta in Veneto per una serie di incontri e presentazioni, e lui ci è venuto senza battere ciglio. Da lì è nata davvero una bella amicizia e, se posso dirlo, la cosa di cui mi fregio è il fatto che lui mi stima molto come autore al punto da avermi soprannominato “Devil Dog”. Per la potenza delle mie storie, dice. Ci vediamo almeno una volta l’anno, anche con le famiglie, ed è sempre una gran festa veneto-texana.

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Intervista a cura di Marco Marangon

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Fonte: www.illibraio.it


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