La raccolta di sette anni di corrispondenza tra Charles Bukowski, lo scrittore irregolare per eccellenza, e Sheri Martinelli, intellettuale colta e musa ispiratrice di Ezra Pound. Un carteggio che è un trattato di poesia e letteratura, un'infuocata raccolta di prose liriche, un contatto tra due anime (che mai si incontrarono di persona) così diverse e accomunate dalla stessa tensione divorante...
Nel 1960 Charles Bukowski è uno scrittore di quarant’anni, assillato dalle difficoltà economiche e dai guasti di una vita dissipata, che riceve una lettera di rifiuto per alcune sue poesie da parte della rivista letteraria Anagogic & Paideumic Review.
A scriverla è Sheri Martinelli, donna affascinante e tormentata, poetessa e pittrice, a lungo musa ispiratrice e amante di Ezra Pound. Non è una semplice comunicazione asettica, anzi, è una critica dura e viva all’idea di letteratura di Bukowski, con il sovrappiù di un invito a rispolverare la conoscenza dei classici: “Devo dirti che non sento potenza nei tuoi lavori (…) se vuoi intraprendere il cammino insieme al gruppo di poeti & pittori ti raccomando di prendere confidenza con la tradizione dell’arte; di conoscere altri argomenti oltre a te stesso”.
Una provocazione che Charles non può lasciar cadere. E infatti risponde immediatamente con una missiva infuocata, dispiegando immagini violente e allucinate e difendendo a spada tratta la propria concezione della poesia.
È l’inizio di una corrispondenza che durerà per sette anni, raccolta in Notti di bevute e schiamazzi, edito da Guanda con la traduzione di Simona Viciani.
Sheri Martinelli e Charles Bukowski non si incontreranno mai, ma continueranno a scriversi. E non sono lettere facili, le loro. Piccoli trattati di poetica, a volte veri e propri momenti di prosa lirica, considerazioni sui loro contemporanei e sui grandi del passato, mentre le loro vite così diverse eppure simili nell’ansia di una ricerca, traspaiono in filigrana dalle pagine.
Lei colta e raffinata, affascinata dalla metafisica e dall’occulto, e lui che gioca a portare avanti il suo personaggio sporco e distrutto, fiaccato dalle angherie dell’esistenza quanto da se stesso.
Bukowski è, probabilmente, uno di quegli autori vittima della sua stessa fama. Uno scrittore e un poeta troppo spesso ridotto all’immagine del genio sregolato e deraciné, l’alcolizzato che si trascina tra ippodromi e locali notturni e scrive di notte nel delirio del vino. E sicuramente i suoi racconti di vite ai margini non sono una posa, come traspare anche da queste lettere. Ma c’è qualcosa di ben più profondo, un’angoscia, una disperazione e anche una paradossale tensione verso la bellezza che stanno all’origine del rifiuto di una società, tra l’altro proprio quella americana, che in quegli anni si avviava a diventare uno dei modelli di riferimento per l’intera civiltà occidentale, e dei suoi alfieri intellettuali.
Punto sul vivo, Bukowski mostra in queste lettere oltre che la sua profonda conoscenza della letteratura anche il suo lato più vero, e come scrivendo cerchi di illuminare l’esperienza della vita e trovare a suo modo il segreto del dolore.
Senza rinunciare alla provocazione, ovviamente: “Non posso fare una registrazione su cassetta per un’insignificante banda di guerrafondai di parole che preferiscono essere fottuti ed elogiati piuttosto che dare forma alla parola. Non è appropriato tirare in ballo l’esperienza personale, se non hai strisciato sul cemento freddo di un ospedale dei poveri con il sangue che zampilla con abbondanti maleodoranti spruzzi dalla bocca e dal culo e nessuno che ti soccorre (…) dobbiamo capire che ciò che ci sembra sacro è spesso il più diabolico e ciò che appare diabolico…è la fonte“.
Dall’altro lato Sheri Martinelli, che prova a convincerlo a registrare poesie alla radio, e che con altrettanta forza espressiva risponde con parole di grande ispirazione: “Verità è amore, verità è morte; verità è vita; rinascita; verità è il nostro cibo; la nostra luce; il nostro destino, fato, colore, forma, sagoma & forgia“. Lei resta memore della lezione del suo mentore Pound, una delle figure che ritorna spesso nel carteggio, da una parte e dall’altra. Ma con lui Eliot, Shakespeare e anche Dante Alighieri e il poeta cinese Li Po. I due ingaggiano una battaglia tenera e furibonda, si mettono a nudo e si danno consigli. Nella distanza sono così vicini, affratellati dalla stessa volontà bruciante di scrivere che, pur assumendo forme differenti, entrambi si riconoscono reciprocamente.
Sotto agli occhi del lettore si snoda un vero e proprio scontro di altissimo livello sull’essenza stessa della poesia. Un trattato letterario fatto di carne e sangue di due scrittori che si aprono e si colpiscono con eguale potenza. E questo contatto durerà senza aver bisogno di un incontro fisico. Basterà il fuoco comune che li anima a tenerli legati a lungo. Alternando i momenti più seri a quelli scherzosi, senza mai rinunciare al gusto della battuta o dell’uscita surreale e spiazzante.
In una delle sue poesie, Bukowski scriveva Nel mio cuore c’è un uccello azzurro che / vuole uscire / ma gli verso addosso whisky e aspiro / il fumo delle sigarette / e le puttane e i baristi / e i commessi del droghiere / non sanno che lì dentro c’è lui. Leggendo questi sette anni di lettere, tra racconti di sbronze e scritture sgrammaticate di chi ha mal di testa per la sera prima, Sheri Martinelli probabilmente ha potuto vedere e sentire il canto di quell’uccellino azzurro, e oggi noi con lei.
Fonte: www.illibraio.it