Viaggi avventurosi e libri per quando si vuole scappare nei boschi

di Silvia Cannarsa | 27.04.2022

Quali libri accompagnano un'esplorazione, un'avventura, una grande esperienza tra i monti a piedi? Una selezione di romanzi, racconti, reportage e saggi immancabili per quando si vuole scappare lontano, anche semplicemente con la mente


A piedi, in camper, in treno, in barca, ma sempre all’avventura, preferibilmente soli, alla scoperta, alla ricerca di qualcosa.

Succede, ad alcuni scrittori e scrittrici, che prenda una gran voglia di viaggiare da soli — non solo a chi scrive eh, ma ci si concentra su di loro perché dopo scrivono effettivamente dei libri —, di riempire uno zaino da trenta litri, non di più — il rischio che esca un’ernia improvvisa aumenta a ogni chilo aggiunto —, e che partano, attraversando strade ciottolate, sentieri di montagna, scogliere a picco sul mare, città abbandonate e luoghi inospitali. È un richiamo ancestrale, quello alla natura selvaggia, che viene attutito per gran parte della vita, fino a quando non diventa assordante e non si può fare a meno di ascoltare. Ognuno parte con una storia diversa alle spalle e con una motivazione diversa davanti, ma quello che succede nel percorso è per tutti un uguale e radicale cambiamento.

Copertina del libro sui viaggi di Elizabeth Gilbert, Mangia, prega, ama

Ed è così che Elizabeth Gilbert, giornalista, appassionata di yoga e cibo, travolta da un divorzio doloroso a trentadue anni, parte per un viaggio che le cambierà la vita. Vola tra Italia, India e Indonesia, in ogni tappa si ferma tre mesi ed esplorando i luoghi, conoscendo le persone che ha intorno, e cercando spazio dentro di sè, trova i tre ingredienti che danno voce al titolo del suo libro Mangia, prega, ama (BUR, 2015, traduzione di Margherita Crepax) e alla sua nuova vita.

La montagna vivente

C’è chi, poi, ha passato tutta la vita a cercare il suo spazio nel mondo naturale, lo ha trovato, lo ha frequentato sovente e lo ha raccontato, come Nan Sheperd, scrittrice e poetessa scozzese del secolo scorso, che ha dedicato un intero libro a un massiccio di monti scozzese, il Cairgorm. Il suo La montagna vivente (Ponte alle Grazie, 2018, traduzione di Carlo Capararo) è stato scritto durante la seconda guerra mondiale e racconta la scoperta e l’arrivo a una vetta in un modo diverso da quello che viene concepito nella narrazione sportiva comune — una scalata, una battaglia tra l’essere umano e la natura, uno scontro tra forze —, con parole più legate alla contemplazione, alla comprensione del selvatico, senza mai divenire naif e banale. Nell’esplorazione montana di Sheperd c’è principalmente consolazione e ricerca di appartenenza.

paolo cognetti - foto di Mattia Balsamini
Paolo Cognetti – foto di Mattia Balsamini

La montagna è un tema caro a molti, ma possiamo riconoscere che sia IL tema di Paolo Cognetti, già vincitore del premio Strega nel 2017 con Le otto montagne (Einaudi, 2017), uscito da poco in libreria con il suo nuovo romanzo alpino La felicità del lupo (Einaudi, 2021), e lo tratta con delicatezza anche nel suo taccuino di viaggio Senza mai arrivare in cima (Einaudi, 2018). Nonostante il suo viaggio non sia solitario è profondamente introspettivo. Arrivato alle soglie dei quarant’anni — nel mezzo del cammin di nostra vita per eccellenza — intraprende un viaggio in Himalaya con due amici, Nicola e Remigio e, in seguito, una cagnolina. Non è ingenuo, Cognetti, e sa già che quel viaggio sarà per lui trasformativo. Senza mai arrivare in cima è per lui l’occasione di riflettere su diversi nodi importanti, trovare alcune cose e perderne delle altre.

Jon Krakauer, Nelle terre estreme

La storia di Christopher McCandless (o meglio Alexander Supertramp, come amava farsi chiamare) è famosa anche per il film di culto di Sean Penn, Into the wild, un adattamento cinematografico del libro di Jon Krakauer, Nelle terre estreme (Corbaccio, 2008) e certo non è forse l’esempio più allegro di cosa possa succedere quando decidi di viaggiare nella natura selvaggia…

Aria sottile

L’autore è un famoso alpinista e saggista, noto anche per Aria sottile (Corbaccio, 2005) — un resoconto dettagliato e doloroso di una spedizione sull’Everest di cui Krakauer stesso faceva parte e che non è andata esattamente come ci si aspettava.

Krakauer in Nelle terre estreme si appassiona alla storia di McCandless, giovane appena uscito dall’università, che decide di cominciare un viaggio da solo negli stati occidentali degli Stati Uniti. Un viaggio che diventa per lui una transizione, un lungo periodo on the road verso l’estremo nord, l’Alaska, quasi due anni, raccontati in frammenti del suo diario, pagine che, insieme a tante interviste, sono state utilizzate per raccontare la sua storia di avventura, coraggio e solitudine.

Wild. Una storia selvaggia di avventura e rinascita

Ma per fortuna going into the wild non significa per forza fare una brutta fine. Cheryl Strayed ne è un esempio perfetto, con il suo Wild. Una storia selvaggia di avventura e rinascita (Piemme, 2016, traduzione di S. Puggioni) ha stregato il pubblico, diventando prima un bestseller e poi un film con Reese Whiterspoon. Strayed, in un momento particolarmente doloroso della sua esistenza, decide di affrontare il Pacific Crest Trail, un sentiero montano molto complesso, milleseicento chilometri in due mesi di camminata, non esattamente una passeggiata di salute, soprattutto per Strayed che sta cercando di disintossicarsi dall’eroina. Quello che la scrittrice sta cercando è una rivelazione, un contatto estremo con la natura, che le racconti qualcosa di sé e le permetta di rinascere nuovamente.

Werner Herzog, Sentieri nel ghiaccio

E c’è un legame tra il viaggiare soli, il cammino, il dolore e la rivelazione. Lo si può intravedere anche in uno scritto intimo e delizioso del regista e scrittore Werner Herzog, Sentieri nel ghiaccio (Guanda, 2008, traduzione di Anna Maria Carpi), che fa riferimento a un percorso a piedi che ha condotto nel 1974 tra Monaco e Parigi. A causa della grave malattia della sua cara amica Lotte Eisner, Herzog fa un fioretto, una promessa a se stesso: se lui percorrerà a piedi la strada tra Monaco e Parigi, Lotte lo aspetterà; rimarrà viva, anche solo per attendere il suo arrivo. Ci sono circa novecento chilometri tra le due città, ci sono montagne, boschi e strade non propriamente segnate. C’è la neve che copre tutto, benigna e malvagia, evocativa e ghiacciata, e c’è il senso dell’orientamento traballante di Herzog, che è partito per questo viaggio senza prepararsi. Herzog, che è un grande appassionato di figure eroiche, tragiche e capaci di gesti folli e poetici, a sua volta compie un’esperienza trascendentale, che lo porterà mezzo congelato alle porte di Parigi.

I racconti di viaggio e di scrittori sono tantissimi, inutile dirlo, e coprono una gran fetta della letteratura, dall’800 a oggi. Ognuno di loro deve qualcosa alla scrittura naturalistica di Henry David Thoreau, Samuel Coleridge ai — più recenti — racconti boschivi di Jack London.

Un indovino mi disse, il libro sui viaggi di Tiziano Terzani

Non si può non citare In Patagonia (Adelphi, 1982) di Bruce Chatwin, la ricerca dell’avventura per eccellenza. Un’impresa quasi mitologica, sulle tracce di un mostro preistorico e un parente marinaio.
E, da parte italiana, Un indovino mi disse (Tea, 2014) di Tiziano Terzani, uno dei maestri del giornalismo e del reportage. Nel 1976 un indovino lo ammonisce che nel 1993 non dovrà volare, ma viaggiare solo via terra, perché in aria potrebbe morire. E Terzani, a distanza di vent’anni, segue il consiglio.

William Least Heat Moon, Strade Blu

Un libro intimo, grandissimo e poetico è quello di William Least Heat Moon, Strade Blu (Einaudi, 2016, traduzione di Igor Legati) in cui l’autore racconta gli Stati Uniti della fine degli anni ‘70, quando decide di abbandonare il suo lavoro a scuola e cominciare a girare tra un diner sulla statale e un altro, alla ricerca di una vera America, proprio lui, che è in parte nativo americano.

una-passeggiata-nei-boschi

Mentre dissacrante e fuori luogo come solo lo scrittore Bill Bryson sa essere è Una passeggiata nei boschi (Guanda, 2015), dove l’autore e il suo amico Stephen Katz affrontano uno dei più antichi sentieri americani, l’Appalachian Trail, tremilaquattrocento chilometri, senza essersi allenati nemmeno un secondo. Ed è questo che rende irresistibile la raccolta di aneddoti che ne esce, creando un libro divertentissimo che ha poco a che fare con i toni seri del classico reportage naturalistico, eppure sa essere allo stesso modo rivelatorio e profondo.

Fonte: www.illibraio.it


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