Berlino, fine anni Trenta. Il barone prussiano Traugott («Sperindio») von Jassilkowski, sprovvisto di antenati illustri e ossessionato da una madre borghese che di nome – e non solo – fa Bremse («freno»), affronta con caparbia determinazione la sua scalata sociale, complici l’intraprendente proprietaria della pensione in cui alloggia e un matrimonio d’interesse con la bella erede di un industriale produttore di armi. Ma il mai superato complesso edipico che affligge il barone e le nevrosi che ne conseguono procurano ai due sposi non pochi guai. Provvidenziale giunge quindi la chiamata alle armi: Polonia, Francia, e poi Stalingrado, che regala all’improbabile eroe gli onori di un finale aperto e inatteso. Edipo a Stalingrado è un affresco indimenticabile, corrosivo e nostalgico di un’epoca, una città e un ceto sociale che, ignaro e apolitico, continua a perpetuare e a difendere i propri ideali, riti e privilegi, alla vigilia di un evento che ne decreterà il tramonto.
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